Il sindaco di Ferrara Alan Fabbri (a destra) con il suo vice Nicola Lodi
Si alza il livello dello scontro sul caso Arquà, che contestualmente alla lettera inviata direttamente dalla consigliera interessata al prefetto (dopo una serie di missive all’organo territoriale di governo nel tentativo di impedirle di rientrare in consiglio comunale nonostante l’annullamento delle sue dimissioni da parte del Consiglio di Stato), vede l’intervento del sindaco Alan Fabbri. Che però non si rivolge al prefetto, ma direttamente al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (ex prefetto di Roma ma indicato in quota leghista da Matteo Salvini in fase di formazione del governo) chiedendo la rimozione di Arquà d’imperio con un decreto ad hoc per indegnità. Indegnità derivante, secondo il primo cittadino che cita il Testo Unico degli Enti Locali come base della sua richiesta, per “gravi motivi di ordine pubblico”.
Fabbri ammette che l’amministrazione dovrà eseguire la sentenza del giudice amministrativo, partendo dal presupposto che la sentenza del Consiglio di Stato, giudice amministrativo di secondo grado, è inappellabile in giudizio. Ma questa possibilità “si scontra con una dura e allarmante realtà: leggere le frasi minatorie riportate nelle lettere anonime indirizzate al nostro vicesindaco e realizzate dall’aspirante consigliere usando lettere ritagliate dai giornali mi ha generato un senso di sconforto e di inquietudine”, scrive il primo cittadino che nella lettera non cita comunque le due lettere con proiettili indirizzate a Nicola Lodi, per le quali di Arquà la procura ha richiesto l’archiviazione.
Fabbri poi accusa l’ex leghista Arquà di voler essere “reintegrata in Consiglio, dopo la sentenza del Consiglio di Stato” dopo aver tuttavia rilasciato “ampia confessione” degli addebiti in fase di indagini. “E io dovrei assistere senza colpo ferire alla reintegrazione dell’amministratore minacciante nella carica”, aggiunge Fabbri che poi passa alla fase delle domande: “Le gravi minacce di morte rivolte dall’aspirante consigliere a un componente dell’organo politico del Comune sono del tutto irrilevanti ai fini dell’esecuzione della sentenza del giudice amministrativo che, ritiene invalide le dimissioni del consigliere per violazione delle modalità procedimentali? Oppure questi gravi atti intimidatori diretti a un amministratore dovrebbero imporre il sacrificio o quantomeno la sospensione immediata del diritto di chi a quella carica pubblica aspira ancora in forza di una sentenza di un giudice amministrativo?”. A sostegno dell’enunciato Fabbri cita anche un’inchiesta parlamentare della 17esima legislatura sul tema delle intimidazioni agli amministratori pubblici e i fondi ricevuti dal ministero del’Interno per lo stesso motivo.
Il primo cittadino sposta poi il tema sul piano amministrativo della decadenza delle surroghe, che si intreccia comunque anche con il piano politico che seppur non esplicitato vede la maggioranza in consiglio: con il ritorno di Arquà – evidentemente nelle fila dell’opposizione – e la conseguente perdita di un consigliere leghista, la maggioranza non avrebbe da sola i numeri in consiglio senza l’appoggio esterno dei gruppi ‘fuoriusciti’ Ferrara Nostra e Prima Ferrara. “La sentenza del Consiglio di Stato, oltre alle dimissioni di Arquà, travolge gli atti consequenziali, senza farli oggetto di apposita statuizione caducatoria. L’atto di surroga del consigliere Franchini (che entrato proprio al posto di Arquà, ndr) e quello del consigliere Martinelli come atti consequenziali, per effetto dell’annullamento delle dimissioni della consigliera Arquà intese come “atto presupposto”, divengono illegittimi ab origine ma la caducazione dei successivi atti di surroga deve necessariamente limitarsi ad una sola surroga per garantire il plenum assembleare”. Va aggiunto poi che Franchini ora ricopre la carica di capogruppo del gruppo Lega in consiglio comunale.
Ecco perché Fabbri chiede a Piantedosi se “le gravi fattispecie delittuose contestate dalla Procura di Ferrara ad Arquà, possano portare a un giudizio di ’indegnità’ a ricoprire un’importante carica pubblica, giudizio di cui tutte le istituzioni di garanzia non possono non farsi carico”. Per il primo cittadino, quindi, “il potere sanzionatorio di rimozione di un consigliere per ’gravi motivi di ordine pubblico’, che trova fondamento nell’articolo 117 della nostra Costituzione, si attaglia al nostro caso. Gli atti intimidatori costituiscono un vulnus per l’ordine pubblico e compromettono il sereno svolgimento delle funzioni dell’ente locale e dei suoi organi elettivi”.
Ed infine la richiesta ‘formale’ di “avviare il procedimento ai sensi dell’articolo 142, del decreto del 18 agosto 2000 (267), e ricorrendo i ‘motivi di urgente necessità’, alla luce dell’imminente esecuzione della sentenza del giudice amministrativo, di consentire al Prefetto di sospendere immediatamente dalla carica di consigliere la signora Arquà in attesa del suo decreto”.
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