“Credo si possa dare per assodato che la semplice appartenenza al genere femminile non rappresenti la condizione unica e sufficiente per dare forma e concretezza al cambiamento di prospettiva di genere di cui molte donne sentono il bisogno e l’urgenza, vivendolo come necessario e praticandolo nella loro quotidianità, in attesa che insieme a loro sia la società a evolversi”.
A parlare è Ilaria Baraldi, portavoce delle Donne Democratiche di Ferrara. Un intervento il suo che vuole rispondere alla vulgata della possibile premier donna. La dem, elegantemente, non nomina mai Giorgia Meloni, ma nel suo discorso è facile comprendere come non basti essere madre, donna e – magari – cristiana per abbattere il maschilismo e il patriarcato che dominano la politica italiana.
“Essere donna non è di per sé garanzia né di obiettivi né di metodo – comfema indirettamente Baraldi -. Basti pensare alla reticenza con la quale moltissime donne ammettano di vivere, e spesso partecipare, ad un sistema patriarcale, al punto da giurare di essere più libere ed emancipate di quanto non siano, non siamo, in realtà”.
A scrivere, per sua stessa ammissione, “è una femminista tardiva (nel senso che sono approdata al femminismo ben più che in età adulta), per la quale è facile riconoscere stereotipi e automatismi di chi pensa che il maschilismo sia l’unica forma possibile, perché in esso è cresciuta e si è formata e di esso ha inconsciamente accettato le regole sul presupposto para-educativo che “è così che si fa”, o, peggio “è naturale che sia così”.
E invece “di naturale c’è ben poco nell’abitudine alla subordinazione, nel coprire una parte che alle donne è stata affidata nel corso dei decenni, nell’accettare regole che cristallizzano una discriminazione”.
Secondo Baraldi “non c’è nulla di naturale nemmeno nella cosiddetta famiglia naturale, la cui tutela viene spesso richiamata per tranquillizzare i complottisti delle teorie gender. Niente è più culturale e sociale di una costruzione come la famiglia, dove anche nella forma più comune di relazione tra un uomo e una donna i ruoli sono definiti in base ad un mix di tradizioni, usanze, abitudini”.
Ecco allora la critica al mondo rappresentato dalla leader di Fratelli d’Italia: “se per femminismo intendiamo l’insieme dei movimenti volti a emancipare le donne, renderle libere attribuendo loro gli stessi diritti e le stesse opportunità che hanno gli uomini, è un vero mistero come non tutte le donne siano femministe, anzi, alcune di loro rifiutino categoricamente di poterlo essere, accettando al contempo di essere parte del meccanismo ben oliato del patriarcato tradizionale”.
“Una solidarietà minima, quella sì, naturale, – aggiunge – ci spinge a lottare anche per tutte quelle donne nel mondo che non hanno accesso all’istruzione, non possono guidare, non possono lavorare, la cui estrema povertà le espone a violenze e sfruttamento”.
Ma c’è di più: “il femminismo contemporaneo non è estraneo alle battaglie analoghe per la trasformazione dei meccanismi che condannano minoranze o gruppi di persone a subire discriminazioni di sorta. Il femminismo non prescinde dalla lotta contro il razzismo, contro l’omotransfobia, contro le diseguaglianze profonde, contro le tradizionali forme di dominazione sociale, contro la manifestazione del potere. Non solo per empatia (parola politicamente abusata), non solo perché la lettura del reale indica chiaramente che nella stessa persona possono sommarsi più caratteristiche che la rendono esposta a discriminazioni, ma anche perché sta nel concetto di rappresentanza la tensione a farsi carico della possibile soluzione di problemi che non siano solo i nostri, e, infine, perché le uguali opportunità devono essere per tutte, per tutti, per tutt*, o non sono”.
“Ecco perché – conclude – chi persegue un futuro migliore del presente (migliore per tutte e tutti, non solo come conservazione dei propri privilegi) non può che essere femminista. Ed ecco perché non basta essere donne per essere dalla parte delle donne”.
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