La scuola antifascista del partigiano Mario Fiorentini
A differenza di altri partigiani, tu dopo la guerra hai ricominciato da capo in un ambito del tutto nuovo, la studio e l’insegnamento della matematica, nelle scuole medie e poi fino all’università. Non c’era nessun rapporto con la tua esperienza partigiana?
Forse la volontà, una volontà di ferro che mi ha sempre sostenuto era la stessa. Io avevo fatto le scuole commerciali; dopo la guerra, prendere da privatista la maturità classica, iscrivermi a matematica, laurearmi, ci è voluta la stessa volontà che ci voleva nei momenti difficili della resistenza, e spesso sacrifici non minori.
Ti dico anche un’altra cosa, che forse c’entra. Io mi laureo e vado a insegnare scienze naturali in una scuola media inferiore a indirizzo commerciale. A quel tempo c’era una grande selezione nella scuola media; al primo consiglio di classe, gli insegnanti erano molto duri con i voti, molto selettivi.
Un mio collega mi dice la sua filosofia: all’inizio dell’anno faccio dei compiti molto difficili e salvo quei cinque o sei studenti e gli altri li butto a mare, e quando li interrogo gli faccio sempre domande difficili.
Io, che venivo da un’esperienza sociale, che ero di un’altra pasta, fui molto impressionato e allora assunsi questa filosofia: mi occuperò soprattutto degli studenti più deboli; e parlerò sempre a voce alta, a quelli dell’ultimo banco. La mia etica è questa, e da allora, anche all’università, l’ho seguita sempre.
Dall’intervista al manifesto del 14 gennaio 1998 (la prima concessa da Mario Fiorentini a un giornale).