Nella tre giorni di Curva Ovest in Festa al parco Urbano ha trovato spazio, sabato (11 giugno) sera, anche l’interessantissimo dibattito intitolato ‘Perché ci diffidate?‘ con un tema, quello dei Daspo, dei ‘reati’ da stadio e dei provvedimenti che vedono coinvolti i tifosi di tutta Italia, sempre molto attuale.
A portarlo sul palco, nell’incontro pubblico moderato da Federico Pansini, sono stati ospiti importanti in materia, tre autentici esperti dell’argomento: in primis l’avvocato Giovanni Adami, impegnato quotidianamente nella difesa di ultras di tutta Italia nella difesa dei provvedimenti di diffida. Poi Matteo Falcone, direttore editoriale di Sportpeople.net, portale di informazione e approfondimento, un vero punto di riferimento sul movimento ultras in Italia. E infine, Sèbastien Louis, dottore in storia contemporanea, sociologo e autore del libro ‘Ultras, gli altri protagonisti del calcio’, che ripercorre in maniera dettagliata la storia del tifo organizzato in Italia dagli anni ’70 ad oggi.
È stato proprio Adami ad aprire l’incontro con una accurata spiegazione su cosa sia il Daspo: “Si tratta di uno strumento che viene messo nella mani del questore senza passare, a differenza delle misure di prevenzione, per la via del tribunale. Quando un tifoso riceve la notifica di una diffida non vi è, innanzitutto contraddittorio. Questo – prosegue Adami – significa che chiunque riceva un provvedimento di Daspo, è automaticamente costretto ad affrontare un lungo e dispendiosissimo iter amministrativo”.
Provvedimento che può comportare l’obbligo di firma del tifoso sanzionato durante le partite della sua squadra: “Pensate che in alcuni casi, un soggetto su cui pende un provvedimento di Daspo – aggiunge Adami – può essere costretto a recarsi presso gli uffici della Questura della propria città, anche durante le amichevoli, per firmare più volte. È un aspetto privo di senso, che si applica solo nel nostro Paese a differenza di altri considerati più severi sull’argomento del tifo, come Inghilterra o Germania”.
“Se poi, per motivi di lavoro, qualcuno – conclude – fosse impossibilitato a rispondere a questo obbligo di firma, la conseguenza dal punto di vista della condanna può essere comparabile a quella di un reato di rapina. Nel periodo del Covid, con gli stadi chiusi e quindi nessun tipo di pretesto che potesse dare adito all’incontro tra due tifoserie, tante persone con diffida sono state costrette comunque ad andare a firmare. Si tratta di aspetti totalmente inaccettabili per un Paese che si definisce all’avanguardia come il nostro nelle battaglie per i diritti civili’.
In un continuo susseguirsi di testimonianze dirette sull’argomento, così si è espresso Matteo Falcone: “Il termine repressione viene spesso affiancato alla parola diffida – spiega – perché si creano troppi livelli stratificati che rendono pesante la parte puramente amministrativo. Molto spesso c’è una sproporzione per le pene inflitte rispetto al reato da stadio commesso. Quello degli ultras è un movimento in evoluzione dal passato ad oggi, nei numeri e nel seguito anche nelle trasferte. Negli anni Novanta, il far parte di una curva, l’essere ultras, si è diffuso senza distinzione di categorie sociali. Questo aumento di numeri ha portato a un utilizzo, anche negli anni successivi, più elevato della sicurezza e delle forze dell’ordine che ha inevitabilmente spinto ad un innalzamento del livello di scontro e di tensione”.
“Pensiamo ad esempio – sottolinea – ai tanti divieti di espressione negli anni passati: negli stadi non si potevano portare bandiere e striscioni, veniva vietato l’uso di megafoni e tamburi. Questo genere di privazioni di libertà espressive ha tolto maggiore spazio al lato folkloristico e dato maggiore luce agli aspetti più aggressivi. Anche se – conclude Falcone- uno degli errori che si tende sempre a commettere è il pensiero che gli ultras abbiano portato la violenza nel calcio, quando in realtà lo stadio era già uno spazio fortemente territoriale prima del loro avvento”.
Così invece Louis: “L’argomento ultras e curve, in Italia, viene sempre affrontato con un velo di diffidenza e tanti preconcetti, soprattutto quando si tratta di portare una visione descrittiva su questo tema. Si tende spesso a sottolineare con enfasi – evidenzia il sociologo francese – aspetti negativi rispetto, ad esempio, alle numerosissime iniziative di stampo benefico e umanitario delle curve verso la socialità di cui fanno parte. All’estero non è così, ho curato personalmente mostre che hanno avuto interesse e seguito numerosissimo. Ma, nonostante questo tipo di chiusure mentali, che vengono spesso alimentate da mass media e opinione pubblica, l’Italia a livello di ultras resta un punto di riferimento nel resto del mondo, dato che questo modo di vivere il tifo è nato proprio qui a inizio anni ’70“.
I tempi, da allora, sono ovviamente cambiati: “Nel 2022 un ultras deve essere capace di farsi ulteriormente intelligente rispetto alla realtà che vive, attraverso piccoli passi e un modo di comunicare la propria realtà che vada al passo con i tempi e che sappia affrontare in maniera compatta, così come accade in altri paesi d’Europa, le diverse problematiche del proprio mondo (come accaduto in Francia, Inghilterra e Germania relativamente ai prezzi dei settori ospiti; ndr). Non voglio fare la morale a nessuno, ma chi fa parte di questo mondo deve essere bravo ad evitare qualche ‘autogol’ per sfuggire alla continua ed errata identificazione con cui si viene catalogati come “parte sbagliata del calcio” quando invece proprio le curve possono dare dei rimedi al sistema”.
“Perché – chiude Louis, trovando conforto anche dalle considerazioni finali di Adami e Falcone – nonostante la repressione di cui abbiamo parlato stasera, il movimento ultras è più vivo ed in salute che mai. E con la sua passione rappresenta una parte sana rispetto a un mondo del calcio malato e completamente alla deriva“.