Cronaca
10 Giugno 2022
Un ex collaboratore di giustizia chiamato a testimoniare sulle ‘rivelazioni’ che l'imputato gli avrebbe fatto in carcere, ma l'interessato nega: “Mai confessato un omicidio che non ho mai commesso”

Femminicidio Placati, “Saveri ci raccontò come la uccise”

di Daniele Oppo | 5 min

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“Non ho mai confessato un omicidio che non ho mai commesso. È vero che ho parlato con De Carlo e Tarascio, ma tutto quello che ha affermato De Carlo, assolutamente no. I disegni non li ho fatti io”. È Doriano Saveri a parlare, rivolgendosi alla corte d’assise con delle dichiarazioni spontanee.

Poco prima, Antonio De Carlo, chiamato anche ‘Tonino spara-spara’, ex collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande dei pm Stefano Longhi e Lisa Busato, aveva spiegato che lo stesso Saveri, come lui detenuto nel carcere dell’Arginone, avesse raccontato a lui e a un suo compagno di cella (Stefano Tarascio, il re delle truffe online) come aveva ucciso Rossella Placati, e che lo aveva fatto “perché lei lo voleva mandare via e lui ne era innamorato”.

Siamo nel maggio del 2021. Saveri era stato affidato a un ‘piantone’ – ovvero un detenuto che lo sorvegliasse – dopo che aveva realizzato un atto di autolesionismo in cella. Tarascio venne coinvolto inizialmente, ma lui aveva già De Carlo da ‘guardare’, quindi segnalò un altro nome. I due però iniziarono a parlare, a fare amicizia, e fu con lui – secondo il racconto emerso in aula – che Saveri si aprì per primo, raccontandogli dell’omicidio. “Poi lui [Tarascio, ndr] lo disse a me – testimonia De Carlo – perché non riusciva a dormire, gli raccontava di quella pozza di sangue”.

Saveri avrebbe preso a parlare anche con De Carlo: “All’inizio si dichiarava innocente, poi diceva delle cose e le cambiava, che la cantina era dentro la casa e poi fuori, e alla fine si è aperto piano piano, un po’ alla volta, nel corridoio e nella cella. Ci ha fatto anche due disegni”.

Avrebbe così raccontato che domenica 21 febbraio 2021 aveva litigato malamente con Rossella Placati: “Lei lo voleva mandare via, gli diceva di raccogliere le sue cose e andare, se no avrebbe chiamato i carabinieri”. Il litigio sarebbe sfociato in un aggressione con un coltello da parte della donna, che con quello avrebbe ferito Saveri a una mano, e il sangue di quella ferita macchiò i pantaloni che indossava.

L’uomo sarebbe poi uscito. Ma prima avrebbe aperto, e lasciato così, la porta sul retro. Dopo aver fatto un giro, Saveri sarebbe tornato nell’abitazione di Borgo San Giovanni. Ma non sarebbe entrato subito. Prima sarebbe entrato nella ‘cantina’, il garage di pertinenza della casa, si sarebbe cambiato completamente, avrebbe calzato un paio di scarpe di un numero più grande, 43 anziché 42, e si sarebbe calcato in testa un cappello. Poi avrebbe impugnato un tubo idraulico.

Poi, sempre secondo il racconto riportato dal testimone, sarebbe entrato in casa, passando dal retro, da quella porta lasciata aperta. Avrebbe salito le scale e avrebbe trovato Placati nella “camera del trucco”, dove era andata appena dopo essersi fatta la doccia. “Non si aspettava che lei avesse portato il coltello, lo aveva visto sopra un comodino perché lei guardò in quella direzione appena lo vide”. Saveri sarebbe arrivato per primo a prenderlo con la sua mano sinistra, quelle libera, e con quello avrebbe inferto tre coltellate dalla parte del seno sinistro, mentre “la signora cercava di uscire, ma lui non l’ha fatta uscire. L’ha colpita mentre era di lato, alla destra dell’imputato”.

Una volta caduta, Saveri avrebbe infierito su di lei, colpendola con “il ferro”, quel tubo idraulico che si era portato appresso. Saveri avrebbe raccontato che Placati, quando cadde, rimase coperta dall’accappatoio celeste che indossava: “Solo allora gli ho creduto, perché solo lui poteva saperlo”, ha detto De Carlo ai giudici.

Poi, riporta ancora l’ex collaboratore di giustizia, l’imputato gli avrebbe spiegato di essere andato in bagno, di aver preso un asciugamano e di averlo usato per avvolgere le due armi. Sarebbe ritornato in cantina, “si è rivestito come prima”.

Dopodiché sarebbe andato a prelevare dei soldi al bancomat, li avrebbe portati alla sua ex compagna, a Vigarano Mainarda. Al ritorno avrebbe fatto un giro ‘lungo’, passando per Salvatonica, come appurato dagli inquirenti. È un dettaglio importante, perché a Tarascio e De Carlo, Saveri avrebbe detto di aver buttato armi e vestiti da un ponte di Salvatonica, sembra in due distinti punti.

I due detenuti presero appunti, scritti di suo pugno da Tarascio, che disegnò anche il coltello come descritto da Saveri, e li consegnarono alla Polizia penitenziaria, insieme a dei disegni che avrebbe fatto lo stesso Saveri per spiegare come era fatta la casa e dove era Rossella Placati quando la aggredì e uccise.

Secondo De Carlo, l’imputato gli disse di aver “preso in giro gli inquirenti”, indossando scarpe di una taglia più grande. E quando Saveri venne a sapere che c’erano delle ricerche in corso a Salvatonica, “era preoccupato, moltissimo”.

Ai due compagni di carcere, l’imputato avrebbe anche detto di aver compiuto l’omicidio verso le 8.15 di domenica sera – poi loro riportarono nell’annotazione “prima delle 8.45”, per via, dice De Carlo, delle varie versioni date da Savari – e di averlo fatto perché “non si trovava con l’orario della morte” che era emerso dagli atti, che infatti collocavano il decesso tra le 22,30 e le 3 del mattino successivo.

Avrebbe detto anche, secondo il teste, “che la cosa strana era che non si era sporcato”.

Stefano Tarascio, chiamato a testimoniare sulle stesse circostanze, si è invece chiuso in una lunga sequenza di “non ricordo” e “non so nulla” perfino sulle sue dichiarazioni, anche davanti al video del suo interrogatorio davanti ai carabinieri. Un atteggiamento inspiegabilmente reticente che ha portato la presidente dell’assise, la giudice Piera Tassoni, a decidere che gli atti vengano immediatamente trasferiti alla procura per le determinazioni del caso: rischia un imputazione per calunnia o per falsa testimonianza.

La difesa di Saveri (avvocati Pasquale Longobucco e Alessandra Palma) ha chiesto alla corte di disporre una perizia calligrafica sui disegni e le scritte attribuiti all’imputato e da lui disconosciuti.

Prima della testimonianza c’è stato anche un confronto tra consulente della procura e della difesa in merito a una traccia dattiloscopica su campione di sangue misto trovata dal Ris nel lavandino del bagno: entrambi hanno concordato che si tratta di una traccia ‘da deposito’, ovvero lasciata da una mano sporca di sangue, ma che non è possibile appurare il preciso luogo d’origine del sangue stesso

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