Attualità
6 Giugno 2022
Un'esperienza da 100mila pasti e 10mila persone accolte. Don Bedin: “Anni ruvidi e duri, ma ne è valsa la pena”

“Trent’anni di Viale K, ma io non sono l’eroe di questa storia”

di Redazione | 3 min

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Don Domenico Bedin

di Cecilia Gallotta

Sono passati trent’anni da quando un giovane parroco di viale Krasnodar rivoluzionò per sempre la situazione sociale del suo quartiere. E da allora, il nome di don Domenico Bedin, così come quello dell’associazione Viale K, è legato indissolubilmente alla parola ‘accoglienza’.

“Ma io non sono l’eroe di questa storia” esordisce peccando di modestia, perché ad oggi i numeri di Viale K contano 10mila persone accolte, oltre 100mila pasti, 10 sedi e 172 volontari. “La nostra associazione deve i suoi risultati alle migliaia di persone che hanno creduto nel progetto, e hanno posto ognuno un mattoncino per consentirne la costruzione”.

Ma com’è nata l’associazione?

“Abbiamo cominciato con i laboratori per le persone disagiate del quartiere, tossicodipendenti e altri ragazzi che venivano da ricoveri psichiatrici o che vivevano chiusi in casa, ma la svolta ci fu proprio nel ’92 con l’introduzione della legge del volontariato. In quel modo veniva riconosciuta al cittadino la possibilità di adoperarsi per rispondere ai bisogni di altre persone, cosa che fino ad allora era relegata agli ecclesiastici”.

Dalla tossicodipendenza alle ondate migratorie, non devono però essere stati anni facili, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la cittadinanza e le istituzioni.

“Per niente. Sono stati anni ruvidi e duri, pieni di contrasti persino coi miei superiori, che mi hanno sempre invitato a moderare le mie attività di
accoglienza. Addirittura il vescovo, agli inizi, una volta mi disse che avrei dovuto star dietro ai buoni, invece che a chi mi rovinava l’ambiente. Per non parlare delle lamentele del vicinato e di tante altre persone”.

Non ci sono mai stati momenti in cui ha pensato di gettare la spugna, soprattutto di fronte a reticenza e ostruzionismo?

“Di momenti difficili ce ne sono stati un’infinità, ma è valsa la pena non mollare perché la provvidenza mi ha sempre messo lungo il percorso persone che si sono rivelate cruciali per superarli. Una di queste è Martino Dondi, il padre storico del famigerato marchio di mobili, che comprò Villa Albertina e la regalò alla diocesi con il vincolo che venisse gestita da noi di Viale K. Poi mi regalò anche il terreno dove adesso c’è l’attuale mensa, e in un certo senso si può dire che Viale K sia anche un po’ ‘colpa sua’”.

Tra le migliaia di persone che ha accolto fra le mura dell’associazione nel corso degli ultimi tre decenni, ci sono anche l’assessora Dorota Kusiak e il vicesindaco Naomo Lodi.

“Due persone che ricordo col cuore e col sorriso quand’erano qui, e con cui ho ancora un ottimo rapporto. Dorota era una ragazzina quando venne
qui con la sua famiglia, studiava a scuola, e con Nicola abbiamo passato un periodo dirompente ma anche fruttuoso. Ci siamo accapigliati, ma siamo anche sempre riusciti a parlarci e confrontarci”.

Ha ancora contatti anche con altre persone che ospitato? Sa com’è proseguita la loro storia?

“Con molti di loro conservo contatti, sì, altri invece mi fermano per strada ricordandomi di quel momento cruciale delle loro vite in cui sono stati da me. Ma è stato un percorso fatto anche di fallimenti, di morti, di persone che ci hanno lasciato. In ogni caso, ricordo sempre con fierezza le parole di Ezio, un signore che andai a trovare in un momento buio della sua vita, quando fu abbandonato da moglie e figli e non usciva più di casa. Mi disse: ‘Ricordati, don Domenico, chi ti critica, se un giorno avrà bisogno, verrà da te'”.

Cosa vede nel futuro di Viale K?

“Viale K non si regge sul carisma di don Domenico. Spesso mi sento dire da tutti: ‘E quando non ci sarai più tu? Cosa facciamo?’. Beh, io sono certo che Viale K andrà avanti, perché nel corso degli anni non ha solo accolto persone disagiate, ma anche di grande spessore professionale e morale che hanno deciso di impostarvi la propria vita e il proprio lavoro, facendolo coincidere con la propria passione”.

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