L'inverno del nostro scontento
17 Maggio 2022

La (mia) filosofia spiegata a un “cretino”

di Girolamo De Michele | 9 min

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C’è uno scrittore/attore, insomma uno che lavora con le parole, Stefano Massini, che ha recitato un monologo intitolato “I filosofi e il cretino”: lo trovate qui, e dovreste ascoltarlo prima di proseguire la lettura (sarebbe scorretto che io, intendendo criticarlo, lo riassumessi: andate alla fonte, come dovreste fare sempre nella vita).
Fatto? Bene, proseguiamo.
Massini ha, come avete ascoltato, un bersaglio polemico: quelli che nell’attribuire ila responsabilità – meglio: “la colpa”, come dice lui – arretrano sino a far svaporare la responsabilità in una nube indistinta. Fino ad arrivare ad Adamo, perché più indietro di così non si può (un po’ come i Savoia, che scapparono fino a Brindisi perché oltre non c’era più dove scappare).
Lo dico subito: Massini sembra avercela con alcuni pacifisti (Di Cesare e Rovelli?), che però non nomina. Insomma, tira il sasso nascondendo la mano dietro la categoria dei filosofi: che quindi mi prendo il fastidio di difendere, non tanto come filosofo, ma come uno che si guadagna quattro soldi (che sono più di tre, ma pur sempre solo quattro) insegnando questa disciplina. Intervenissi come filosofo (quello che sono), mi prenderei la briga di argomentare in modo diverso: come insegnante (quello che faccio: ci tengo a questa differenza), mi limito a qualche argomento che quest’anno, più o meno come tutti gli altri, ho insegnato. Qualche student@ lo ha capito, qualche altr@ lo ha imparato a memoria senza comprenderlo, altr@ se ne sono fregat@: va così, però io questo faccio per vivere.

1. Il concetto di colpa secondo Karl Jaspers (mi è capitato di pubblicare su questo blog le pagine in cui ne ho trattato, per il dettaglio vi rimando a quel post). In sintesi, Jaspers, nelle lezioni che tenne dopo la fine del nazismo, distinse quattro accezioni di colpa: la colpa criminale, di cui è arbitro il giudice in tribunale in base alle leggi vigenti, alle prove, ecc.; la colpa morale, di cui è arbitro ciascuno nella propria coscienza; la colpa politica, che consiste nell’aver favorito, o col voto o con una politica inadeguata, l’ascesa del nazismo; la colpa metafisica, che consiste nel sentirsi in colpa davanti al male nel mondo perché non si è in grado di fare abbastanza. A Jaspers non sarebbe mai passato per la testa di dire che il fatto che nel mondo esista il male, o che socialisti e comunisti furono incapaci di contrastare l’ascesa al potere di Hitler, o che i cattolici del Zentrum vi civettarono (come i Popolari di Sturzo e Gronchi e i liberali tipo Croce in Italia col fascismo) assolve il singolo SS dalla colpa criminale di aver sparato un colpo alla tempia al tale ebreo, in un giorno e in un luogo precisi e documentati.

2. Freud ci ha spiegato che i nostri desideri e volizioni, che mettono in moto le nostre azioni, hanno cause profonde in una dimensione della nostra coscienza chiamata “inconscio”, nella quale si manifestano strutture impersonali come i complessi: tipo il complesso di Edipo (a me non ha convinto, ma non è questo il luogo). Per cui non siamo padroni della nostra coscienza, né dei nostri desideri. Però capitò che in un processo per parricidio il giudice lo consultasse come esperto, nell’ipotesi che per via dell’Edipo si dovesse quantomeno assegnare un’attenuante al parricida. La risposta di Freud fu tranciante: non si applica il diritto all’inconscio. Il fatto di avere volizioni e desideri inconsci non assolve dalla responsabilità di aver compiuto un determinato atto (in quel caso, l’uccisione del padre).

3. David Hume ha sottoposto a critica l’uso abituale del principio di causalità, affermando che è lecito dire che “A è causa di B” se, e solo se, B era già compreso in A (e cioè nel solo campo delle scienze esatte). In tutti gli altri casi, noi stiamo in realtà dicendo che abbiamo l’esperienza a posteriori di B come messo in moto da A: come quando diciamo che sul tavolo del biliardo la palla B va in buca perché colpita dalla palla A, solo dopo aver osservato l’esito dell’urto di A contro B. Quello che Hume vuole dirci è che se l’esito B fosse interamente iscritto in A, non ci sarebbe libertà ma determinismo: e quindi, per fare un esempio, la storia sarebbe ingiudicabile e incommentabile, perché si ridurrebbe a una mera sequenza di fatti sui quali non sarebbe possibile esprimere un giudizio morale, politico, storico.

4. Lo storico Marc Bloch, nel suo capolavoro postumo Apologia della storia, fa l’esempio di un uomo che camminando su un sentiero di montagna fa un passo falso e cade in un precipizio. Cosa ha determinato quel fatto? Molti eventi concomitanti, dalla legge di gravità alle vicende geologiche che hanno determinato quel rilievo, alla storia delle civilizzazioni dei popoli montani che hanno tracciato quel sentiero. Il che non ci impedisce di dire che la causa della caduta è il passo falso (quest’anno, per inciso, ho invitato uno storico di valore, Carlo Greppi, a discutere con studentesse e studenti di quel libro di Bloch: un bell’incontro, lo si vede qui.).

Torniamo a Massini: che fa l’errore di confondere cose diverse solo perché hanno lo stesso nome, cioè “colpa”. Aristotele, impropriamente chiamato in causa, gli spiegherebbe che esiste la sinonimia, e che conoscere la logica serve per l’appunto a non credere che cose diverse con lo stesso nome siano la stessa cosa: ci ha scritto cinque libri, mica pizza e fichi, come direbbe Aldo Grasso. Ci sono di sicuro cause recondite in quell’incidente che dice di aver visto: nessuna delle quali assolve il giovane ubriaco col Suv che ha bucato un semaforo dalla responsabilità penale e civile di aver causato un incidente. Fatto è che non Massini, ma i tre che lui scambia per filosofi sembrano i cretini. E anche qui, vorrei dire a Massini che con gli insulti bisogna andarci non necessariamente piano, ma di giustezza; i greci non dividevano il mondo in filosofi e cretini: per la buona ragione che non esisteva la parola “cretino” (l’hanno inventata i provenzali, “crétin” per dire poveruomo, o cristiano), e soprattutto perché oggi quella parola indica una tara organica, una sindrome da insufficienza tiroidea. I greci contrapponevano al filosofo l'”idiota”, colui il quale non sa uscire dalla propria dimensione privata (il suo idion): insomma quello che, incapace di guardare al comune, si guarda il proprio ombelico e non sa vedere oltre. All’opposto dell’idiota c’è chi sa leggere in un mero dato un segno significante: che è quello che faceva un filosofo come Anassagora, ma anche un medico come Ippocrate e uno storico come Tucidide, tutti appartenenti alla stessa epoca e allo stesso clima intellettuale. Insomma, chiunque sappia “ragionare”, cioè dare senso a un particolare riconducendolo a qualcosa di più generale: più o meno quello che crede di star facendo lo stesso Massini.

Salvo finire per non vedere che i tre che lui definisce filosofi hanno le loro ragioni: perché è vero (e bisognerebbe fare qualcosa per impedirlo) che le automobili sono sempre più grosse e potenti perché così si vendono di più (una sorta di sostituto del pene, per cui al complesso di avercelo piccolo si rimedia girando con un grosso Suv); che c’è una campagna mediatica che esalta le macchine veloci, fast & furious, per fini commerciali; che ci sono famiglie che comprano il Suv al figlio diciottenne che ha appena preso la patente; che ci sono feroci e sanguinari dittatori che spingono alla fuga i propri sudditi, che arrivati in quell’Occidente (che con quei dittatori lucra affari sulle materie prime) che non dà loro alternative, finiscono per fare quelle cose illegali (tipo vendere alcolici dopo una certa ora) che fanno comodo a tutti, ma che richiedono un capro espiatorio, un po’ come gli ebrei cui in passato era consentito prestare a usura o commerciare (se portoghesi) in schiavi perché ai cristiani usura e schiavi facevano comodo, ma volevano mantenere le mani pulite. Il che non toglie che il diciottenne debba pagare i danni, e vedersi decurtati punti dalla patente, perché comunque la sua responsabilità non gliela toglie nessuno.

Ma in realtà Massini non sta parlando di Suv, del Sudan e della mela che Adamo comprò all’Eden Discount: sta parlando di chi ha una posizione avversa alla guerra. Ad esempio, della filosofa Donatella Di Cesare. E allora, per dare a Di Cesare quel che è di Cesare, vorrei far presente a Massini che nessuno di quelle e quelli che sono contrari alla politica di guerra mainstream nega che Putin sia un despota, o che l’invasione dell’Ucraina sia ingiustificabile (salvo pochi invasati filoputiniani che fanno comodo, perché con un cattivo sillogismo che Aristotele non avrebbe avallato, si può barare con le parole asserendo che se il putiniano è contro la guerra e il pacifista è contro la guerra, tutti i pacifisti sono putiniani). Semplicemente, ci sono anche altre cose da dire, che riguardano quelle cause lontane che, senza assolvere Putin, chiamano in causa una molteplicità di problemi che la comunicazione mainstream sta di fatto nascondendo sotto il tappeto: fingendo di non sapere che quei problemi, proprio perché ignorati e non risolti, ci torneranno indietro con la velocità di un Suv ubriaco, prima o poi.

Infine, aggiungerei che citare Aristofane, che accusava Socrate di vivere sulle nuvole, non è un’argomentazione particolarmente nobile: perché Aristofane faceva parte della cerchia di governo di Pericle, e Socrate era, diremmo oggi, all’opposizione; perché Aristofane ha creato un’immagine falsa di Socrate che, diventata mainstream, ha portato a condannare a morte Socrate – il capro espiatorio ideale per dare a un singolo, “cattivo maestro” e “pervertitore della gioventù”, la colpa della sconfitta contro Sparta, che invece era degli ateniesi che si erano affidati ad Alcibiade, ma non volevano sentirselo dire. Ma soprattuto perché Socrate praticava, nella filosofia e nel suo stare al mondo, l’arte della parrhesia, cioè del dire tutto senza nulla nascondere. Che non significa dire la prima cosa che mi passa per la testa, ma dire tutto quello in cui credo senza preoccuparmi di quello che può infastidire chi è al potere, a costo di finire sotto processo, o peggio.

E del resto, a che pro questa foga irrisoria e violenta con la quale in molti – quasi tutti, mi pare – si sentono in dovere di asfaltare a parole i propri interlocutori? Forse che Draghi chiede ai vari Gramellini, Rampini, Massini, Cappellini, Giannini, Grasso (che non è un diminutivo, ma non si nota) consigli sul da farsi? Si decidono forse le sorti della politica italiana nelle agorà televisive, sempre più simili a quelle che votarono democraticamente la cicuta per Socrate o il crucifige per il Nazareno? Direi di no.
In compenso, in quelle agorà isteriche si amplifica la pratica di quella peste del linguaggio che quasi quarant’anni fa Italo Calvino coglieva (ma stava dando ragione al Pasolini di vent’anni prima) come caratteristica negativa di un fine secolo che non è ancora finito, a dispetto dei calendari.

Platone, il terzo dei filosofi citati da Massini, Aristofane – il nemico n. 1 del suo maestro Socrate – lo ha messo in un suo dialogo fra i più belli, il Simposio: e non per contrapporre derisione a derisione, ma facendogli pronunciare un discorso nobilissimo ed elevato. Platone non aveva bisogno di deridere gli avversari: anzi, proprio dando loro una dignità persino superiore a quella che avevano avuto come personaggi “reali” faceva risplendere le proprie idee.

Platone, che non era Aldo Grasso – ma che te lo dico a fare?

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