Oggi, dopo le ultime due assemblee programmate, arriverà l’ufficialità. Ma il mandato dei lavoratori del Polo chimico di Ferrara a Cgil e Uil appare già chiaro: bisogna farsi sentire. E la prima mossa sarà quella dello sciopero. Una mobilitazione votata ieri all’unanimità dai lavoratori giornalieri, in una prima assemblea molto partecipata.
E sarà uno sciopero ‘duro’, di 24 ore, di tutti i lavoratori del Petrolchimico, che verrà indetto per il 9 maggio, ovvero il giorno dell’avvio delle operazioni da parte di Eni per fermare definitivamente il cracking di Porto Marghera, l’impianto che alimenta Ferrara per le produzioni di polietilene, gomme e polipropilene da parte di Versalis e Basell. Anche a Mantova, Ravenna e Venezia l’indicazione è quella di scioperare nella stessa data.
“Il clima, chiaramente, era abbastanza caldo perché la preoccupazione è molto forte – spiega Fausto Chiarioni, segretario generale della Filctem-Cgil -. La mossa di Eni, così repentina, una settimana per l’altra, nessuno se l’aspettava anche perché gli investimenti per garantire la continuità produttiva e di forniture non sono stati fatti. Ora c’è l’incognita per il giorno dopo, cosa succederà dopo lo spegnimento?”.
Oggi ci saranno altre due assemblee dedicate ai turnisti, ma difficilmente le indicazioni saranno diverse da quelle già ottenute.
“Abbiamo visto i lavoratori molto preoccupati e tesi perché si crea uno scenario delicato. La preoccupazione era palpabile”, afferma Vittorio Caleffi, segretario provinciale della Uiltec-Uil. “Abbiamo spiegato le motivazioni che stanno a valle della nostra decisione d’innalzare il livello dello scontro: abbiamo la necessità di ribadire che senza certezza di forniture c’è il rischio di conseguenze, in prospettiva, sulla tenuta impiantistica. E abbiamo ricevuto un mandato di lotta”, rimarca Caleffi.
In assemblea – presenti anche i segretari generali Veronica Tagliati della Cgil e Massimo Zanirato della Uil – non se n’è parlato, ma l’assenza della Cisl – che ha deciso di attendere il tavolo del 13 maggio prima di prendere qualsiasi iniziativa – non passa inosservata. “Cerchiamo di ricostruire l’unità del sindacato – afferma Caleffi -. Ma siamo convinti che non possiamo chiedere ad altri di vincere la nostra battaglia. Spero che la Femca nazionale capisca che siamo di fronte a un rischio troppo grosso, interessi di bottega stanno predominando su interessi industriali del Paese. La politica interviene se c’è sindacato capace di mobilitare, non ci sono scorciatoie”.
Ancora meno oggi, davanti a una crisi globale dettata dalla pandemia prima, dalla guerra poi. “Se si parla di reshoring, di riportare le produzioni qui, poi non ci si può nascondere dietro alle necessità di fare business e utili, soprattutto nel caso di Eni, ma anche per le multinazionali cresciute e prosperate in questo Paese”, afferma il segretario della Uiltec.
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