Dopo 14 anni dal brutale femminicidio arriva l’ultima, inappellabile, condanna. La quinta sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna comminata dalla Corte d’Assise di Appello di Venezia nei confronti di Sergio Benazzo, l’idraulico di 46 anni che aveva ospitato in casa sua Paula Burci e che l’accompagnava a Ferrara a prostituirsi.
L’altra persona ritenuta responsabile dell’omicidio e della distruzione del cadavere di Paula, uccisa a 19 anni, è Gianina Pistroescu, prostituta romena già condannata in via definitiva all’ergastolo e ora nel carcere della Dozza di Bologna.
Paula Burci era arrivata in Italia da poco più di un mese e venne subito avviata al mestiere della strada. Secondo quanto emerso nei vari dibattimenti la ragazza venne ceduta ad altri sfruttatori per appianare un debito di Benazzo e fu costretta a lavorare nel rodigino.
Da lì fuggì ma ebbe la sventurata idea di cercare rifugio proprio a Villadose. Benazzo e Pistroescu avvertirono chi la stava cercando e per Paula fu la fine.
L’autopsia farà emergere ferite causate da un’arma tipo forcone sullo sterno, i denti spaccati a martellate. Il suo corpo, forse ancora in vita, venne portato nella zona golenale di Zocca di Ro e lì dato alle fiamme.
Furono alcuni giovani a spasso con i cani, probabilmente settimane dopo i fatti, ad accorgersi di quei resti umani nascosti sotto un tronco. Era il 24 marzo del 2008.
I responsabili (non gli unici, perché chi collaborò nell’omicidio è rimasto sconosciuto) finirono presto in prigione. Pistroescu, in realtà, si trovava già dietro le sbarre in Romania, per fatti legati alla prostituzione.

Paula Burci
Ma il percorso processuale fu tutt’altro che semplice. Dopo le condanne in primo grado e appello a Ferrara e Bologna, la Cassazione annullò per incompetenza territoriale: la condotta che portò alla morte di Paula era iniziata in provincia di Rovigo. Da lì si doveva ripartire. Nel frattempo erano scaduti i tempi di carcerazione preventiva ed entrambi gli imputati rimasero a piede libero.
E così ci fu un processo fotocopia nel comune veneto. Poi l’Appello a Mestre. In quel frangente il procuratore generale chiese l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”. La Cassazione condannò due anni fa Pistroescu, ma rinviò ancora gli atti al giudice di secondo grado per la posizione di Benazzo.
La ruota della giustizia fa tornare il 46enne di fronte alla Corte d’Assise d’Appello, che ancora una volta ne conferma la colpevolezza. Ieri l’ultimo passaggio, con i giudici capitolini che alla fine hanno respinto i motivi di appello dell’avvocato della difesa, Francesca Martinolli, rendendo definitiva la sentenza.
Benazzo torna così in carcere per scontare l’ergastolo. La Cassazione in fatti non ha ritenuto pertinenti i punti sollevati, che riguardavano dubbi di attendibilità della teste chiave, Jana Serbanoia, nei confronti della chiamata in correità dell’imputato, vizi di motivazione per quanto riguarda la sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio e una critica al giudice di seconda istanza nel credere al narrato della teste Claudia Malagugini, ritenuta scarsamente attendibile.
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