Era il 21 marzo del 2018. Stefano Calderoni diventava per la prima volta presidente della Confederazione Agricoltori Italiani della provincia di Ferrara.
Quattro anni dopo si assiste alla sua riconferma. Ma il mondo attorno è cambiato. In mezzo ci sono state una pandemia che verrà ricordata sui libri di storia e una guerra che ha toccato gli interessi, economici, dell’Occidente.
In occasione della sua rielezione ha citato Francois Heisburg e la sua ‘profezia’ in merito alla crisi dell’Ucraina.
Avevo fresca nella memoria l’intervista pubblicata su le Figarò nel novembre del 2021, dove lo specialista di geopolitica affermava che dopo il Covid il rischio di una guerra è maggiore di quanto fosse prima della pandemia e tende ad aumentare. Tra i motivi si individuavano lo scontro ideologico tra le grandi superpotenze mondiali, l’affermazione dei populisti in tutt’Europa e il riscaldamento del clima: se tra i Paesi – cito a memoria – i progressi dovessero essere troppo sbilanciati arriverà il momento in cui un Paese o un altro non tollererà più che i suoi interessi vitali siano messi in discussione.
Non apparteniamo a nessuna superpotenza (ufficialmente) e non siamo tra i responsabili maggiori, nemmeno provandoci in tutti i modi, del cambiamento climatico. Non rimane che la terza opzione: come europei stiamo fallendo in quel piccolo spazio di autonomia che ci è lasciato.
Per chi come me è nato negli anni ottanta, è particolarmente doloroso sentirsi traditi dal sogno europeo e dalla speranza di veder fondare sulla base dei valori illuministici di libertà, uguaglianza e fratellanza un nuovo corso della storia mondiale. L’Europa è nata per guardare avanti. Per guardare lontano. A tal proposito trovo sconsiderate le dichiarazioni del vicepresidente della Commissione Europea che chiarisce, nel rispondere alle richieste di alcuni governi di sospendere alcuni punti della nuova Pac, che il green new deal e le sue strategie non dovranno essere riviste. Dispiace che a Timmerman non sia servita neppure una guerra per aprire gli occhi: energia e cibo non sono solo slogan ma l’architrave su cui rifondare l’unione europea.
Una frase che ricorda i tempi bui, per l’Italia, delle quote latte e soprattutto degli zuccherifici. Allora, in onore di un presunto interesse superiore, la provincia di Ferrara perse due dei suoi zuccherifici, destinati a una riconversione artificiale.
Basterebbe che chi scrive le regole del gioco conoscesse davvero l’agricoltura e comprenderebbe subito che sostenibilità ambientale non può esistere senza sostenibilità economica. Ma pretendere che quando si fanno le norme si valutino le reali conseguenze forse è chiedere davvero troppo. Siamo stanchi di sentirci dire da chi comodamente siede al tepore dell’aria condizionata cosa dobbiamo fare per tutelare ambiente e paesaggio. Le regole vanno scritte con gli agricoltori e non contro gli agricoltori perché la strada tracciata sta condizionando, talvolta in modo irreversibile, la sopravvivenza delle nostre aziende.
Parole forti.
Noi a differenza di coloro che giocano con la burocrazia e la biro rossa siamo parte integrante dell’ambiente, gli spazi rurali sono la nostra casa e nessuno, se non un pazzo, penserebbe mai di distruggere la propria abitazione. Per cui serve immediatamente sospendere l’applicazione della nuova Pac che, alla luce dei processi che stanno investendo il continente, nasce drammaticamente vecchia.
Tutto questo è compatibile con la transizione ecologica?
Noi da decenni siamo impegnati a mitigare l’impatto delle nostre coltivazioni, tuteliamo il paesaggio e siamo, assieme a sindaci e parroci, uno dei pochi riferimenti rimasti nelle aree rurali: le nostre imprese sono le uniche attività produttive che tengono in vita le comunità più periferiche del paese. Da molti anni abbiamo posto al centro dell’agenda politica della nostra Confederazione la necessità di provare a strutturare un modello di agricoltura che raccogliesse la sfida di sfamare il pianeta in modo sostenibile.
E qui ci ricolleghiamo alla guerra in Ucraina…
Mi auguro che la guerra, con tutto il suo carico di atrocità, almeno una lezione l’abbia fornita: un paese che vuol essere libero deve poter essere autonomo nei propri fondamentali economici, la dipendenza alimentare è una mannaia che pende ogni giorno sulle nostre teste. Abbiamo chiuso le stalle, rinunciato a una parte significativa della nostra filiera dello zucchero, ci è stato detto che con i cambiamenti climatici avremmo dovuto abbandonare progressivamente le colture più idro-esigenti. Oggi improvvisamente capiamo di dover riavvolgere il nastro e che forse coltivare mais non è poi così sbagliato.
Ho trovato efficace un passaggio della sua relazione in cui spiegava che siete agricoltori, non giardinieri…
All’orizzonte si profila il rischio di una progressiva e definitiva migrazione verso la finanziarizzazione del sistema di produzione primario, delegando la produzione ad holding speculative il cui unico fine è garantire un lauto dividendo ai propri azionisti in sede di bilanci consuntivi. Se questo è il modello, e la tendenza è inequivocabile, possiamo scordarci ciò che abbiamo, faticosamente, fatto sino a oggi e quel legame viscerale che l’agricoltore ha con la propria terra e con la cura del paesaggio. Se si continua nonostante tutte le evidenze a pretendere che gli agricoltori diventino giardinieri del territorio per hobby, aspettatevi un progressivo e inesorabile abbandono delle aree interne, delle colline e delle zone montane e una costante riduzione della biodiversità.
E a proposito di biodiversità, c’è un esempio lampante nel nostro territorio, dove – per fare il verso a Dante – potè più l’uomo che la natura.
Abbiamo il parco del Delta del Po, il luogo antropizzato per eccellenza, area Mab Unesco – riconoscimento dato ai territori che tutelano la biodiversità – dove la sapienza umana ha saputo creare uno straordinario equilibrio ambientale, qui di naturale vi è solo l’amore dell’uomo per la terra tutto il resto è opera di ingegneria idraulica. Finchè ci è stato possibile, abbiamo gestito con sapienza anche la fauna selvatica, ora invece i nostri campi sono diventati pascoli per specie alloctone che oltre che a distruggere i raccolti sono anche responsabili della perdita di biodiversità. Quindi se l’essere umano ha dato prova delle proprie capacità, occorre il coraggio di dare all’agricoltura gli strumenti necessari per affrontare le sfide del futuro. In estrema sintesi, quando si pensa all’ambiente va evitato l’approccio da museo delle cere, ma serve trovare un equilibrio con i bisogni primari delle persone. E’ possibile tutelare ambiente, produrre cibo e garantire approvvigionamento idrico per uso civile garantendo la biodiversità? per noi la risposta è sì. Il Po muore lentamente e noi, anzichè curarlo, discutiamo solo di quanto sarà lunga la sua agonia.
Quali sono gli strumenti necessari all’agricoltura per affrontare le sfide del futuro?
Devono essere eliminati gli obiettivi populisti della riduzione del 50% delle molecole e occorre affidare alla scienza il compito, come abbiamo fatto con la pandemia, di trovare le soluzioni adatte per selezionare piante resistenti alle malattie e capaci di svilupparsi con un minor apporto idrico ed una complessiva riduzione degli input.
In questi anni abbiamo impedito alle nostre università di fare ricerca pubblica, lasciando ampie praterie alle multinazionali estere, che hanno condizionato in modo forse irreversibile il mercato dei beni primari.
Ora importeremo mais ogm da ogni parte del mondo perché non ne abbiamo a sufficienza per soddisfare le richieste della nostra filiera zootecnica.
Vanno infine adottate misure idonee ad evitare il lievitare del prezzo del gasolio, oggi triplicato, i concimi aumentati di 1,5 volte in dodici mesi e l’energia elettrica a prezzi senza precedenti.
E, infine, mettere al centro il lavoro, l’impresa e la formazione per fare della nostra provincia un incubatore di creatività imprenditoriale sfruttando anche le opportunità che discenderanno dal Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e da un rinnovato protagonismo della UE in campo economico. Accantoniamo subito l’idea di realizzare grandi opere inutili e dedichiamo risorse alla messa in sicurezza del nostro territorio e alla sua capacità di affrontare la sfida dei cambiamenti climatici.