Pensieri stringati
23 Febbraio 2022

Numero 33

di Paolo Simonato | 4 min

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Esco di casa.

Già al primo appoggio si manifesta la stilettata alla schiena, un dolore atteso, preciso, famigliare ma sempre nuovo e sorprendente.

Cerco, come posso, di correre più delicatamente, sollevando meno le ginocchia, accorciando la fase di sospensione per rendere meno penoso l’atterraggio.

Lo stratagemma serve il giusto; mi risuona nella testa il monito del mio collega ortopedico: “tu la corsa te la devi mettere via”.

Per un attimo mi avvilisco ed ho la tentazione di fermarmi poi, quasi per dispetto, con rabbia, decido di continuare.

Luca mi sta aspettando al solito posto, è un pezzo che non corriamo assieme e le fitte di solito, scaldandosi, diminuiscono un po’.

Ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza), e ci dirigiamo verso San Giorgio, per salire sulla mura lungo lo stretto viottolino che si trova al termine di via Baluardi.

Un po’ per costringermi a pensare ad altro e molto per sentire la sua opinione, gli chiedo cosa ne pensa della recente bocciatura da parte della consulta dei quesiti referendari riguardanti la liberalizzazione della coltivazione della cannabis e l’eutanasia.

“Erano entrambi dei temi che riguardavano la possibilità di autodeterminarsi” osserva Luca “e mi sembra che quello che è successo sia l’ennesima riprova dell’atteggiamento della politica verso i cittadini, trattati come soggetti che vanno guidati anche nelle scelte più personali. Insomma, si è vista ancora una volta la distanza tra la politica e la sensibilità generale del paese”.

Io non la penso molto diversamente; mentre percorriamo la bizzarra struttura sospesa che sovrasta Porta d’Amore rispondo:

“Non sono in grado di valutare le ragioni tecniche per le quali i quesiti sono stati giudicati inammissibili ma in effetti, soprattutto per quanto riguarda quello relativo all’eutanasia, per esperienza personale e professionale posso dire che la mia impressione è che la maggioranza delle persone sia pronta ad una legge che regolamenti questo tema, ed anzi la richieda”.

Attraversiamo il parcheggio di Piazza Travaglio e scendiamo verso Via Bologna.

Affronto la discesa con timore, perché so che la schiena è maggiormente sollecitata in questo tratto, ma i miei muscoli si sono già riscaldati a sufficienza e non ho troppe ripercussioni.

“Anche se questo è in contrasto con la posizione della chiesa cattolica, cioè che la vita è un dono indisponibile” ricorda Luca “Dio ce l’ha data ma noi non possiamo farne ciò che vogliamo”.

Mentre con un passo finalmente spedito scendiamo lungo Porta Reno, dato che oggi abbiamo deciso di regalarci un passaggio in centro, questa osservazione mi fa venire in mente una poesia di Mariangela Gualtieri, così bella, dolce e straziante che senza volere l’ho quasi imparata a memoria.

Gesù non sa niente di questo

essere vecchi – non sa

lo spavento lungo e un martirio

al rallentatore. Muori ma’,

muori stanotte dolcemente

fra un respiro, fra i sogni

non avere paura

non andare nel fondo

dove il decubito guasta ogni fiore

e si apre la carne in fessure

e slabbri d’orrore”.

Recitare poesie non è il mio forte, tantomeno farlo mentre sto correndo e sono a corto di fiato.

Ma forse proprio il mio respiro affannoso aggiunge una ulteriore nota sofferta e tragica ai versi.

Luca mi ascolta in silenzio e dopo un po’ – stiamo puntando alla Casa del boia, alle prese con l’acciottolato irregolare di Ercole d’Este – mi chiede:

“Davvero bella. Come si intitola?”

“Si intitola “Preghiera a sua madre perché muoia”. E in un’altra parte dice qualcosa che non so se è religioso o laico, ma che ho trovato sensato e di conforto. Invocando la madre le dice “rendi familiare la morte con il tuo abitarla”.

“Mi fa venire in mente qualcosa…” dice Luca.

“Che cosa?”

“C’è una preghiera di un prete inglese in cui è come se fosse il defunto a parlare e dice: “sono solo passato dall’altra parte. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che ci piacevano quando eravamo assieme”.

D’istinto, con gratitudine, abbraccio Luca di nuovo, sempre senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) e penso a quanto sia bello lasciare correre le gambe, i pensieri e le parole.

“E questa come la conosci?” gli domando.

“Me l’ha fatta avere una mia amica di Milano, Giulia, quando è morto Max, il mio cane. O meglio, quando ho deciso di non farlo penare più. Perché almeno agli animali a cui vogliamo bene il diritto a non soffrire inutilmente e a una morte dignitosa lo riconosciamo”.

Corriamo in scioltezza gli ultimi chilometri, parlando del più e del meno. Ci salutiamo e ripercorro a ritroso la strada di casa.

Sono felice, appagato.

Mi sento sollevato moralmente e fisicamente.

Il male alla schiena ormai è scomparso quasi completamente, rimane un leggero fastidio.

Penso al collega ortopedico che mi ha detto che non devo più correre.

Penso che oggi, in qualcosa di apparentemente piccolo, ho esercitato il mio diritto ad autodeterminarmi.

 

 

Mariangela Gualtieri, “Le giovani parole”, ed. Einaudi, Torino, 2015

Henry Scott Holland, “La morte non è nulla”, 1910.

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