Scienza e tecnologia
6 Gennaio 2022
I social influenzano la nostra percezione sulla realtà e perfino sulla pandemia: ecco l’effetto bolla

La bolla della percezione ai tempi del Covid-19

di Redazione | 4 min

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di Edoardo Righini

La rete ci osserva. Sembra l’inizio di un discorso complottista, che porta presto a considerazioni anti-vacciniste o a proteste contro l’ennesima installazione di una rete 5G. In realtà è un dato di fatto e se non osserva noi in prima persona allora osserva le nostre azioni e le nostre abitudini.

Il termine rete, a ben vedere, è un po’ vago, diciamo i principali motori di ricerca e buona parte dei social network.

Cosa vuol dire concretamente questo? Vuol dire che tutte le volte che noi facciamo una ricerca, clicchiamo su un link o mettiamo film nella lista dei preferiti, lasciamo dietro di noi una lunga scia di dati che dice molto di noi e del tipo di utenti che siamo.

Questi dati sono estremamente importanti, dal momento che possono essere raccolti ed utilizzati in diversi modi e con diverse finalità.

Facebook, ad esempio, può usare questi dati per costruire in modo più accattivante il feed di ciascun utente, così da invogliarlo a restare più a lungo all’interno del social. Lo stesso vale anche per Netflix o per YouTube, che sulla base di questi dati possono proporre contenuti che siano compatibili con i gusti espressi dall’utente stesso. Per non parlare di Google, che sulla base delle vecchie ricerche riesce ad affinare di volta in volta i risultati dei quelle successive, così da farci trovare quello che cerchiamo.

Tutto questo non è male e, anzi, permette a queste aziende di fornire dei servizi altamente personalizzati, capaci di soddisfare più facilmente le nostre aspettative.

Tuttavia, questo meccanismo può diventare molto pericoloso, specialmente quando la bolla scatta riguardo ai contenuti informativi, perché in questo caso si può trasformare in una vera e propria trappola di specchi, che replica costantemente immagini sempre uguali.

Fuor di metafora, il fatto che gli algoritmi siano capaci di capire quali contenuti preferiamo e di proporci di conseguenza tutti contenuti simili per tenerci incollati allo schermo rischia di isolarci da ciò che è diverso o non conosciamo. Se “si entra nella bolla”, come si dice, si rischia infatti di essere raggiunti da informazioni sempre molto simili tra di loro, che contribuiscono a creare la nostra personale percezione del reale che però, per sua stessa definizione, è parziale.

Percezione che si rafforza tutte le volte che si entra in uno di questi siti, il quale sceglie ciò che l’utente potrà vedere, con l’effetto di escluderlo da informazioni che sono in contrasto con il suo punto di vista e di isolarlo nella sua bolla culturale o ideologica.

Il fenomeno, in realtà, è noto da tempo e molti esperti l’hanno criticato anche in passato, perché rischia di produrre delle vere distorsioni di percezione, mettendo nelle mani dei gestori di media un potere di influenza davvero notevole.

Questo problema diventa tanto più rilevanti in momenti delicati e di possibile tensione sociale, com’è quello della pandemia.

Non a caso la rete, da luogo di scambio e condivisione di informazioni è diventato un volano micidiale per le critiche, gli ascessi di rabbia e gli scontri tra posizioni opposte.

E non è un problema da poco se si considera che i social stanno diventando sempre di più lo strumento preferito dalle persone per aggiornarsi: significa che molti hanno della pandemia solo la percezione che il proprio feed restituisce loro.

Il risultato è un perenne moto disgregatore che piano piano allontana le persone dividendole in gruppi, in cluster che leggono sempre le stesse cose.

Non è un caso, del resto, che proprio in questo periodo le contrapposizioni sociali siano diventate più acute: l’altro è mio nemico perché non mette la mascherina o perché favorevole a rendere il vaccino obbligatorio.

Se inizialmente, dunque, Facebook, Instagram e le altre piattaforme sono state molto utili creando un profondo senso di unità e di condivisione tra le persone, spingendo le stesse ad adottare comportamenti virtuosi, adesso gli stessi social stanno diventando luoghi di scontro violento, dove si fomentano rabbia e risentimento.

O dove le notizie false si diffondono facilmente: non a caso, proprio Facebook ha dichiarato recentemente di voler iniziare a contrastare le fake news anche attraverso i suoi algoritmi.

Ma può il problema diventare la soluzione, soprattutto quando si tratta di un’azienda privata, che quindi non deve dare conto ai cittadini ma solo agli azionisti?

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