Freud and the City
8 Dicembre 2021

Terapia di Natale

di Giorgia Belletato | 3 min

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Cosa succede dentro le stanze di terapia? Si impara a conoscere realmente se stessi. Fuori, nel mondo, ci si può raccontare storie comode e accomodanti, con trucchi ed inganni si creano infatti falsi miti che talvolta sfociano in patologie. E’ solo quando il sintomo si fa strada, che spesso (purtroppo) serve venire in terapia per trovare consapevolezze autentiche che curano storie ammalate.

Ho il privilegio di conoscere una splendida donna, intelligente ed ironica che parla di sé, di lei in terapia, della sua famiglia. Dopo il nostro ultimo incontro mi scrive:

“E’ tutta settimana che rifletto, mi sono chiesta perché mio padre si senta così vicino a mio fratello ed ogni volta che ci penso mi assale un velo di tristezza mescolata a tenerezza, come quei mix di tuorlo e zucchero che montandoli diventano una crema spumosa e morbida. Perché? Poi ci ho pensato meglio stanotte e ho iniziato a mettere assieme i tasselli come in un grande puzzle lasciato lì dalla notte dei tempi delle feste di Natale tutti assieme, dove a fine pranzo si sbaraccava la tavola per lasciare spazio ai giochi famigliari, il tempo di una digestione infinita. Così ho iniziato a mettere vicine delle analogie e la prima cosa che mi è balzata alla mente, è stato che entrambi sono arrivati terzi ed ultimi.​ Terzi di tre fratelli, ultimi perché quando si chiude la produzione della prole l’ultimo rimane per sempre l’ultimo, e peraltro, entrambi – lo so per certo – non cercati ma capitati, quegli errori che ti tocca accogliere con uno schizzo di senso di colpa, una pennellata veloce come l’impressionismo che porto sulla testa quando ci incontriamo via skype. La fatica di essere ultimi tra i primi.​ Penso a quando ci sono le gare, che i posti sul podio sono sempre tre, dove il terzo, se ci si pensa bene, rimane pur sempre l’ultimo.
Mio papà è nato in modo distratto e con distrazione è stato allevato.​ Avrebbe dovuto essere l’ultimo a trovare lavoro, l’ultimo a sposarsi, l’ultimo a meritare una dote. In realtà però mio padre sovvertì le regole. Fu così che mia nonna dissentì della sua scelta di sposarsi con mamma, perché avrebbe dovuto farlo prima mio zio, ma mio zio si figuri che si sposò a quarant’anni suonati. Ci sarebbe stato troppo tempo da aspettare. Niente dote, niente aiuti, niente soddisfazione. Niente di niente.​
Mio fratello dal suo canto, anche lui è stato il terzo. L’ultimo tra i primi.​ Una gravidanza indesiderata che si portava appresso una responsabilità fatta di sconvolgimenti.​ Mio fratello probabilmente è stato vissuto come un qualcosa che non suscitava più l’entusiasmo che si ha col primo figlio. A parte la stanchezza di un genitore che a 39 anni non ha le energie di quando ne aveva 29, non c’è stato nulla di “interessante” in lui che noi già non avevamo suscitato. Non è mai stato un bambino con degli interessi particolari. Mentre mia sorella incantava e stupiva coi suoi disegni, il dipingere, io con la mia musica e la perfezione a scuola, mio fratello invece sembrava non avesse nulla da dire e raccontare.​ Vorrei tanto poter parlare di queste cose a mio padre, come vorrei tanto che mio fratello potesse essere a conoscenza del fatto che non deve temere il giudizio di mio padre perché mai come ora sono consapevole di quanto affini siano per certi aspetti.​ Avrebbero tanto da dirsi ma in realtà si riempiono la bocca di discussioni poco profonde. Parlano di politica, del mondo, di filosofia, di storia, ma delle loro storie personali non vi è traccia.”

Le imminenti feste natalizie con tutto quel rosso sbattuto in faccia, quelle luci e quell’allegria forzata prestano talvolta il fianco allo stare in superficie, al dire tutto per non dire niente e se questo rituale per quest’anno è un po’ stretto la medicina sta nel non partecipare e soprattutto aspettare che passi, cioè intorno al 6 di gennaio!​

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