Spettacoli
9 Ottobre 2021
Il Festival di danza contemporanea del Teatro Comunale Claudio Abbado riparte dall’universo visionario e inquietante creato da Wim Vandekeybus, Olivier de Sagazan e Charo Calvo.

Viaggio negli abissi dell’uomo

di Redazione | 3 min

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(foto di Marco Caselli Nirmal per Fondazione Teatro Comunale di Ferrara)

di Federica Pezzoli

Il festival di danza contemporanea del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, nella serata di venerdì 8 ottobre, è ripartito da dove aveva dovuto interrompere a causa del lockdown: con “Hands do not touch your precious Me. A dialogue between the universes of Wim Vandekeybus, Olivier de Sagazan and Charo Calvo”, che avrebbe dovuto debuttare a Ferrara in prima mondiale lo scorso anno.

“Hands do not touch your precious Me” è un verso tratto da un inno della sacerdotessa sumera Enheduanna alla dea Inanna, tra le prime testimonianze di pensiero scritto e “firmato” giunte a noi. Da qui Wim Vandekeybus, Olivier de Sagazan e Charo Calvo sono partiti per creare un universo straniante e inquietante all’incrocio fra danza, arte visuale e musica elettronica, per mettere in scena corpi che diventano pezzi di carne senza identità e coscienza, per interrogare lo spettatore più che per dare delle risposte.

“Dal grande paradiso ella si immerse nel mondo di sotto. Dal grande paradiso la dea mise la sua mente nel grande abisso […] La mia padrona abbandonò il cielo, abbandonò la Terra e scese nel mondo sotterraneo”. Sul palco si ritrova una femminilità arcaica, non dolce e rassicurante, non materna, c’è una dea indifferente al destino dei suoi seguaci, ci sono sacerdotesse e guerriere. Ma la rivendicazione di un nuovo ruolo, o il ritorno al ruolo primordiale, per il genere femminile è solo uno dei temi che si possono ritrovare in questa nuova creazione che prima di tutto, e soprattutto, è un racconto mitico di confronto e trasformazione: l’epopea di una discesa negli inferi che si svolge sotto gli occhi degli spettatori.

Capitolo dopo capitolo, girone dopo girone, scavando in un simbolismo che è allo stesso tempo complesso e universale, perché fa appello a quelle pulsioni e a quegli istinti che risuonano in ciascun essere umano. Nell’ambiente sonoro creato dalla compositrice elettroacustica Charo Calvo, l’energia che si sprigiona è quella della vita “in potenza”, di una lotta per la sopravvivenza, tanto più ineluttabile in quanto la morte è una presenza costante. Non c’è spazio per la pietas, si torna all’homo homini lupus.

Qui, in parte, l’attualità di questo lavoro che sembra a tratti voler irridere l’arroganza dell’umanità, che si crede così evoluta, eppure è ancora così fragile, volubile, sempre sull’orlo dell’abisso. L’argilla su cui fu scritto il mito di Inanna ritorna, grazie alla partecipazione del performer e artista visivo Olivier de Sagazan, come emblema della materia da cui tutto proviene e cui tutto ritorna e di corpi senza coscienza, sostanza attraverso cui prendono forma e vita i demoni e i totem che ciascuno si crea e si porta dentro.

Eppure, questa sorta di danza macabra e vitale, dopo aver raggiunto la sua maggiore intensità con la Red dance su musica originale di Norbert Pflanzer, termina con un brindisi attorno a una tavola imbandita: è possibile che la lotta e la discesa agli inferi non abbiano mai avuto luogo nonostante le tracce che hanno lasciato dietro di sé? È possibile far finta di nulla e che tutto continui come prima? È possibile una vera rinascita? “Hands do not touch your precious Me” non è una performance da vedere, ma un’esperienza da vivere, ancora più attuale e urgente in questi frangenti che stiamo vivendo.

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