Portomaggiore
29 Maggio 2021
Nel processo a carico del sindaco Minarelli per i tre decessi causati dall'incendio nel 2016 emerge che nessuno ha mai pensato di dover fare verifiche nella struttura di via Cattaneo

Nessun controllo per il Poligono di Portomaggiore

di Daniele Oppo | 4 min

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Portomaggiore. Nessuno ha mai fatto un reale controllo né i carabinieri né i vigili del fuoco né la Questura né il Comune di Portomaggiore, i cui uffici, fino a metà del 2015,  non aveano nemmeno piena contezza dell’esistenza di quel poligono che solo pochi mesi dopo, il 10 gennaio 2016, sarebbe esploso provocando la morte tra le fiamme di Paolo Masieri, Lorenzo Chiccoli e Maurizio Neri.

È il dato più eclatante emerso – o forse ribadito – venerdì 28 maggio nel processo che vede il sindaco il sindaco di Portomaggiore Nicola Minarelli imputato per omicidio e disastro colposi e che, almeno da un punto di vista esterno, sembra l’agnello sacrificale di una lunga catena di mancanze grandi e piccole.

A sfilare davanti alla giudice Giulia Caucci sono stati i testimoni chiamati dalla pm Ombretta Volta: agenti della Polizia locale, una dirigente comunale, carabinieri.

I dipendenti comunali, con le loro dichiarazioni e le loro risposte (soprattutto a quelle più ficcati degli avvocati Simone Trombetti per la parte civile Unicredit e Alberto Balboni che rappresenta il figlio di Neri), hanno restituito un quadro in cui il frequentatissimo poligono di via Cattaneo creato da Fabio Ghesini (che ha già patteggiato tre anni e mezzo) – che lo gestiva con i genitori con i quali aveva costituito una Asd, un’associazione sportiva dilettantistica – è stato nel corso della sua vita come una specie fantasma, apparso e poi sparito e poi riapparso.

La forma associativa, che per via della semplificazione con la quale le Asd possono presentare istanze o dichiarazioni di avvio di attività, sembra aver fatto saltare anche ogni tipo di controllo e verifica concreta.

I due agenti della municipale hanno fatto capire che, per quanto riguarda le armi e il loro uso, i controlli spettavano alla questura e/o ai carabinieri. Per il resto non era necessaria alcuna autorizzazione o alcuna verifica, o alcun sopralluogo, possibile ma non obbligatorio: uno venne eseguito all’esterno, nel 2012, d’iniziativa di uno dei due agenti che hanno testimonaito, ma solo per controllare il rispetto delle norme sulla quiete pubblica.

Poi una sorta di giallo proprio sulla comunicazione d’inizio attività (anche se tecnicamente forse non è tale) presentata da Ghesini al Comune, ai Carabinieri e alla Questura nel 2012 e che si è ‘persa’ fino al 2015, quando la dirigente del servizio Urbanistica venne interessata della questione perché una collega le disse che a Ostellato c’era chi avrebbe voluto fare un poligono, proprio come quello di Portomaggiore. Il problema è che la dirigente non ne sapeva nulla di quel poligono, quindi chiese informazioni: “Al protocollo non esisteva nessuna pratica – ha raccontato la dirigente Luisa Cesari -. In una riunione sottopongo il tema al sindaco e lui mi dice che non ne sapeva nulla e con assoluto stupore mi conferma che lui non ha dato alcuna autorizzazione”.

Venne anche fatta una chiamata ai carabinieri e l’interlocutore disse che invece sì, lo sapevano, perché c’era quella domanda dal 2012 che anche loro avevano ricevuto. Si attivarono allora le procedure – “informali” -, la dirigente recuperò la comunicazione e verificò che comunque non c’era bisogno di un’autorizzazione o alcun atto da parte del suo ufficio.

Poco tempo dopo arrivò alla stessa dirigente un’email da parte di un ispettore della municipale che le inoltrava un fax ricevuto dai carabinieri: era la domanda presentata da Ghesini nel 2012.

E neppure i carabinieri, come confermato in udienza da uno dei militari che hanno testimoniato, si attivarono mai per un controllo, pur essendo a conoscenza dal 2012 dell’esistenza del poligono e che li dentro, ovviamente, venissero usate delle armi.

Insomma, il risultato è che per anni nessuno ha mai avuto nulla da obiettare sulla regolarità della struttura di via Cattaneo e sul rispetto delle norme di sicurezza, né è venuto in mente a nessuna istituzione di fare qualche verifica.

“Sta emergendo quello che abbiamo sempre sostenuto – commenta l’avvocato Fabio Anselmo, che insieme ai colleghi Carlotta Gaiani e Bernardo Gentile assiste Minarelli -: è stata fatta un’accusa a slalom gigante e oggi anche i carabinieri hanno confermato di non aver mai fatto i controlli”.

Si torna in aula l’11 giugno, quando verranno sentiti i consulenti della procura e delle parti civili.

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