Cronaca
13 Aprile 2021
La Guardia di Finanza di Rimini ha indagato 9 persone collegate alla galassia del colosso edile Cmv

Sequestro per milioni di euro per il gruppo che costruiva anche a Ferrara

di Redazione | 3 min

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Aveva costruito palazzine residenziali anche a Ferrara negli anni antecedenti il 2015, prima del crac finanziario tramutatosi, nelle carte della Guardia di Finanza, in bancarotta fraudolenta.

Il Gruppo Cmv, la Cooperativa muratori Verucchio, dopo il fallimento dichiarato nel 2017 è ora sotto le lenti di ingrandimento dei Finanzieri del Comando Provinciale di Rimini, dove aveva sede legale. Le fiamme gialle, al termine di un’indagine di polizia economico-finanziaria, dopo avere denunciato 9 persone, hanno dato esecuzione questa mattina al sequestro, disposto dal gip di Rimini Vinicio Cantarini, di oltre 7,6 milioni di euro, ritenuti profitto di illeciti finanziari.

L’operazione, denominata dai militari “Brick Broken” (mattone spezzato, ma anche mattone fallito) vede come accuse per gli indagati, nessuno dei quali ferrarese, sono bancarotta fraudolenta, evasione e riciclaggio. Il provvedimento è in corso di esecuzione anche nella Repubblica di San Marino a cura delle competenti autorità estere interessate attraverso rogatoria internazionale.

Tutto è partito dal fallimento del noto gruppo societario, costituto da una galassia di 12 società operanti nel settore dell’edilizia residenziale, le cui costruzioni si trovano principalmente in provincia di Rimini, Bologna, Ferrara, Forlì, Pesaro ed Ancona.

Le investigazioni, coordinate dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli e svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, attraverso complesse ispezioni contabili, indagini tecniche e rogatoria internazionale nella Repubblica di San Marino, hanno consentito di rilevare che le società avevano sistematicamente sottofatturato la vendita degli immobili ricevendo dai clienti milioni di euro in nero negli anni dal 2006 al 2010.

Per nasconderli al fisco, i soldi venivano versati ad una banca di Rimini. Alcuni fin troppo zelanti funzionari di questa, attraversando poi il confine, hanno a più riprese portato presso una fiduciaria del Titano il danaro, riconducibile per mandato fiduciario a due degli indagati.

La fiduciaria depositava poi le somme in un suo conto presso una banca sanmarinese, da dove partivano poi bonifici verso un conto corrente detenuto nella banca riminese e intestato sempre alla fiduciaria estera. Da questo conto i soldi venivano quindi investiti in obbligazioni della stessa banca riminese. Le operazioni erano documentate da ricevute fatte ad hoc per fare schermo e impedire la riconducibilità dei soldi agli illeciti fiscali posti in essere dagli indagati, a capo del fallito gruppo edile.

Il meccanismo consentiva di celare il flusso monetario che appariva del tutto estraneo agli autori della presunta frode, quale mero trasferimento di fondi della fiduciaria da un conto estero ad un conto italiano.

Il coinvolgimento della banca locale ha giocato un ruolo di particolare rilievo nel momento in cui il presidente pro-tempore del cda della banca ha ricoperto contemporaneamente anche la carica di presidente del collegio sindacale della principale società fallita e quella di consulente fiscale di fatto dell’intero gruppo di imprese, consentendo all’istituto di credito di beneficiare, tra l’altro, anche dei fondi occulti, investiti prevalentemente in obbligazioni emesse dalla stessa banca e, dunque, direttamente destinati a finanziare l’attività bancaria dell’istituto.

In buona sostanza, i soldi così camuffati – si è accertato un flusso di oltre 20 milioni di euro – sono stati sottratti illecitamente al fallimento del gruppo riminese, andando a determinare grave pregiudizio ai creditori e all’erario.

Al termine delle indagini della Guardia di Finanza, la Procura della Repubblica di Rimini ha richiesto ed ottenuto dal gip un provvedimento di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, nei confronti dei principali indagati, sulle disponibilità finanziarie, detenute anche attraverso intestazione fiduciaria, sui beni mobili ed immobili fino alla concorrenza delle distrazioni fallimentari e delle imposte evase, per 7,6 milioni di euro.

Gli indagati (in tutto 9 persone) sono: per la bancarotta fraudolenta il patron del gruppo edile (indagato anche per l’omesso versamento delle imposte), il tesoriere, due membri del collegio sindacale, di cui uno è stato presidente pro-tempore del cda della banca coinvolta, nonché il genero del patron. Per riciclaggio sono indagati invece due funzionari di banca e il fratello del patron; mentre per favoreggiamento, per aver ostacolato le indagini, risulta indagato il responsabile dell’area controlli dello stesso istituto.

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