Attualità
17 Marzo 2021
A causa dell'epidemia non ci saranno celebrazioni ufficiali, ma solo le bandiere esposte negli edifici pubblici. L'intervento di Campanaro

160 anni dell’Unità d’Italia. Il prefetto: “Ricorrenza oggi carica di inquietudini, ma non dobbiamo arrenderci”

di Redazione | 6 min

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A causa dell’emergenza sanitaria, la ricorrenza dei 160 anni dell’Unità d’Italia non vedrà  celebrazioni ufficiali. Sugli edifici pubblici verranno comunque esposte le bandiere italiana ed europea.

Per l’occasione ospitiamo qui di seguito un intervento del prefetto di Ferrara Michele Campanaro.

Ricorre oggi il centosessantesimo della proclamazione dell’Unità d’Italia, data che il nostro Paese ha voluto ricordare con legge del 23 novembre 2012, n. 222 istitutiva della “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”, allo scopo di promuovere i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l’identità nazionale, attraverso il ricordo e la memoria civica.

Nell’Italia che festeggia i suoi 160 anni di Unità, c’è incertezza e forse anche paura, solo che si pensi a quanto, da oltre un anno, ci hanno lacerato le ferite causate dalla tremenda emergenza sanitaria da Covid-19. Quella di oggi è, dunque, una ricorrenza carica di inquietudini. Ma, nonostante tutto, non dobbiamo arrenderci alla sfiducia, sostenuti dalla determinazione che i rischi e le sfide che ci stanno davanti sono superabili con l’arma vincente della coesione sociale e nazionale. Un’arma che, nei momenti difficili, noi italiani abbiamo sempre dimostrato di saper ritrovare e che anche questa volta ci porterà fuori dal tunnel.

Vedo, infatti, da tempo accresciuto tra gli italiani il bisogno di riaffermazione di quel che siamo, una grande Nazione e un moderno Stato europeo. Il bisogno di recuperare l’orgoglio nazionale, come reazione a stati d’animo di disagio, di incertezza e anche di frustrazione.

In un periodo così difficile, forse il più complicato dal secondo dopoguerra, quella di oggi è l’occasione per riflettere e sentire più forte il patrimonio storico dell’Italia, fatto di uomini di pensiero, poeti, letterati, filosofi, economisti, mossi da un grande amore per l’Italia. Questi uomini, animati da un profondo senso etico, da alti ideali e principi, diventarono uomini d’azione e uomini di Stato dando luogo ad un movimento che si poneva chiari obiettivi: libertà, unità, indipendenza della Patria, dell’Italia. Si nutrì della consapevolezza delle radici profonde della nostra storia, della nostra civiltà. Non a caso quel movimento fu chiamato Risorgimento.
L’inno di Mameli è diventato l’inno della Nazione italiana in quanto inno del risveglio di un popolo, scritto a soli vent’anni da un giovane poeta genovese di nome Goffredo, studente e fervente patriota. Il giovane Mameli aveva un animo polemico e inquieto e aveva rischiato di interrompere i suoi studi di filosofia, accusato di atti di indisciplina. Sull’onda di una passione per la poesia, aveva scritto e pubblicato un inno per il riscatto di Roma dal governo papale. Presto, questo ragazzo genovese, impegnato nella lotta per l’indipendenza italiana e propagandista mazziniano, fu conosciuto anche fuori della sua città.

Era il 10 settembre 1847 quando Goffredo Mameli scrisse il brano che tutti conosciamo come “Fratelli d’Italia” e lo intitolò “Il Canto degli Italiani”, inviando il testo dell’inno a Torino per farlo musicare dal suo amico e compositore genovese Michele Novaro.

Il nostro “Fratelli d’Italia”, “Il Canto degli Italiani” è diventato il simbolo del Risorgimento italiano. Dopo i moti del 1848 fu suonato e cantato dalle bande musicali e dai soldati in partenza per la guerra di Lombardia. Quel testo scritto di getto, spontaneo, appassionato e composto da un giovanissimo combattente per la libertà, era senz’altro il più adatto a simboleggiare la giovane Italia rivoluzionaria. Sono gli anni del Risorgimento, il periodo in cui sotto la guida di personaggi come Garibaldi, Mazzini, Cavour, l’Italia comincia la lotta che la porterà alla sua definitiva unificazione.
Goffredo Mameli è un giovanissimo poeta e combattente, un eroe romantico, che partecipa entusiasticamente alle battaglie di quegli anni. Arrivato il 18 aprile 1848 a Milano, Mameli finalmente incontrò il suo idolo, Mazzini; fra i due nacque un intenso rapporto, anche in virtù dei successivi incontri, in cui Mameli svolse il ruolo di portavoce della colonna genovese.
Nel gennaio del 1849, dopo la fuga di Pio IX, a Roma si formò una Giunta Provvisoria di Governo, aprendosi così una stagione straordinaria di lotta e di emancipazione civile. Il 9 febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica Romana, che praticava il suffragio universale, promulgava leggi di grande valore sociale e preparava, attraverso aspri dibattiti parlamentari, una Costituzione fortemente innovativa.

Mentre Giuseppe Mazzini, il pericoloso sovversivo ricercato dalle polizie di mezza Europa, governava al Quirinale e Giuseppe Garibaldi comandava un esercito di volontari, per difendere Roma dall’attacco straniero, arrivò da tutta Italia e dalle principali capitali europee una moltitudine di ragazzi e ragazze, tra cui il giovane Goffredo Mameli. E’ di Goffredo Mameli il telegramma “Venite, Roma, Repubblica!” con cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana.

Il giovane Mameli si prodigò nella difesa della Repubblica Romana assalita dai francesi, partecipando ai principali fatti d’armi, malgrado le debilitate condizioni fisiche causategli da una febbre persistente. Nei combattimenti fuori Porta di San Pancrazio del 3 giugno 1849, Mameli, allora aiutante di campo di Garibaldi, fu ferito alla gamba sinistra. Mameli, il ragazzo genovese che Garibaldi aveva voluto nel suo Stato Maggiore, per tutta la giornata aveva portato ai reparti d’assalto, sotto il fuoco nemico, gli ordini del generale ma era avvilito per non aver potuto partecipare all’azione.

La ferita sembrava leggera, ma subentrò un’infezione che aggravò progressivamente l’infermità del malato. In breve, le condizioni di Goffredo Mameli peggiorarono e per evitare la cancrena, gli fu amputata la gamba. Lo stesso Giuseppe Mazzini – l’uomo più ricercato dalle polizie degli Stati reazionari d’Europa – non fuggì da una Roma assediata e riconquistata dai francesi. Per molti giorni, all’ospedale dei Pellegrini, vegliò Goffredo Mameli che, a 22 anni non ancora compiuti, stava morendo, recitando versi in delirio.

Nel 1946, con la nascita della Repubblica Italiana, si decise che “provvisoriamente” la musica del giovane eroe genovese poteva essere adottata come inno Nazionale. «Su proposta del Ministro della Guerra – si legge nel verbale di seduta del Consiglio dei Ministri presieduto da Alcide De Gasperi – si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli».
Siamo oramai ai giorni nostri, quando con la legge n. 181 del 4 dicembre 2017, dal titolo “Riconoscimento del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli quale inno Nazionale della Repubblica”, l’inno di Mameli viene riconosciuto dallo Stato Italiano come inno Nazionale. Il primo comma dell’art.1 recita: «1. La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno Nazionale».

Come sottolineato dal nostro Presidente Sergio Mattarella, vi è una evidente continuità e un nesso ideale che lega il Risorgimento alla Resistenza, alla Repubblica, ai valori sanciti nella nostra Carta Costituzionale.

Ecco. Con questi pensieri rivolti al passato, celebriamo oggi, in piena emergenza epidemiologica, i 160 anni dell’Unità d’Italia, proiettandoci con fiducia al futuro. I grandi del Risorgimento non fecero sogni di conquista. Essi sognarono l’unità e la libertà d’Italia, e l’indipendenza di tutti i popoli. Continuiamo oggi a guardare lontano, con lo stesso animo, come hanno fatto gli uomini del nostro Risorgimento.

Evviva il 17 marzo 1861, evviva l’Italia!

Michele Campanaro

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