Cronaca
19 Ottobre 2020
La cugina della vittima al termine del processo: “Giustizia è fatta”. La difesa puntava a una pena più mite: “Leggeremo le motivazioni e poi valuteremo l'appello”

Femminicidio Fusi, ergastolo per Cervellati

di Daniele Oppo | 4 min

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"Ci ha rovinato l'esistenza, ci ha messo a dura prova, minando la serenità della nostra famiglia, ma io credo nella giustizia". A parlare in aula è il marito della donna di 56 anni che, tra il 2019 e la fine del 2023, per cinque lunghi anni, secondo l'accusa, soprattutto davanti alla scuola primaria dell'Alto Ferrarese dove lei insegnava, sarebbe stata perseguitata da un uomo di 80 anni

Saverio Cervellati è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Cinzia Fusi, la compagna alla quale ha tolto la vita il 24 agosto del 2019 colpendola ripetutamente alla testa con un matterello mentre si trovavano nel garage di pertinenza del negozio Spendi Bene di via Primicello a Copparo.

Nell’udienza finale di lunedì 19 ottobre, la Corte d’assise presieduta dal giudice Piera Tassoni ha condannato l’imputato anche a risarcire il danno alle parti civili costituitesi nel processo: i genitori di Cinzia Fusi (per i quali è stata stabilita una provvisionale di 150mila euro per ciascuno), una zia e una cugina, oltre ai Comuni di Copparo e di Riva del Po, tutti rappresentati dall’avvocato Denis Lovison.

La pena dell’ergastolo è la pena che è stata chiesta anche dal pm Fabrizio Valloni al termine della requisitoria, nella quale oltre al fatto in sé – non contestato essendo Cervellati (55 anni) reo confesso – ha ricostruito un profilo psicologico dell’autore dell’omicidio, descritto come un uomo che “è geloso, non ammette la presenza di altre persone nella vita affettiva e soffre il fatto che Cinzia voglia mantenere clandestina la loro relazione”.

Una relazione che ormai era agli sgoccioli, viste anche le frequentazioni e l’avvio di amicizie della vittima con altri uomini, relazioni che avrebbe voluto tenere segrete, ma che Cervellati avrebbe tenuto monitorate, controllando telefoni cellullari, programmi di messaggistica e Facebook. Una volta capito che tutto era finito – quando “avverte che il suo predominio si allenta” – e che la sua vita va a rotoli dopo il fallimento del matrimonio e la crisi del suo negozio Spendi Bene allora “commette il delitto per negare anche alla Fusi un futuro che lui non ha”.

Per il pm, inoltre, la confessione di Cervellati non è credibile per quanto riguarda l’innesco del delitto, le modalità di aggressione e il movente: “Ha fornito solo riscontri che l’autorità giudiziaria avrebbe comunque trovato, forse per lui era troppo faticoso ripercorrere gli eventi, ed è possibile, ma non superare questa fatica significa che non ha capito appieno il disvalore di ciò che ha commesso”.

L’avvocato Elisa Cavedagna

Per la difesa, l’avvocato Elisa Cavedagna, “la chiave di lettura di questo delitto va trovata nel ritratto della personalità dell’imputato, ma anche della persona offesa”. La legale ha cercato di dimostrare che il rapporto tra i due fosse ‘ribaltato’ rispetto alle prospettazioni dell’accusa, che fosse lei il soggetto in controllo, e anche per questo “non è un caso di femminicidio, questo è un omicidio”. “Orgoglio e rabbia, questa è la chiave”, ha spiegato l’avvocato, “si è reso conto che il suo mondo era finito, ma non l’ha colpita per punirla, l’ha colpita in un impeto di rabbia brutale”. A fronte di una sentenza che non riconosce l’equivalenza tra aggravanti e attenuanti come aveva chiesto, afferma che “leggeremo le motivazioni e poi valuteremo l’appello, certo si è trattato di un processo anomalo per celerità (tre udienze in tutto, dovute anche all’emergenza Covid) e modalità, in cui non è stata possibile analizzare la personalità della vittima per capire la dinamica della relazione. Questo caso avrebbe meritato un procedimento diverso”.

L'avvocato Denis Lovison

L’avvocato Denis Lovison

L’avvocato Lovison per la parte civile ha cercato di corroborare la versione di un rapporto tra un uomo possessivo e violento e una donna suo malgrado succube, fino all’ultimo, al punto di suggerire anche una pianificazione dell’omicidio e una volontà di far sparire il cadavere.  “Quando si è reso conto che il piano era saltato, si è costituto”. Secondo la ricostruzione del legale, d’altronde, il fazzoletto infilato nella bocca della Fusi non era stato messo per bloccare l’uscita del sangue ma “per accelerare la morte e per attutire le urla. E io non credo alle casualità: la sorella di Cervellati che abita sopra lo Spendi Bene quel giorno non c’era e lui aveva dei guanti in lattice e i sacchi gialli”. La sentenza, ovviamente, lo soddisfa in pieno: “Era il massimo a cui si poteva puntare”.

L’abbraccio tra Cristina Fusi e l’avvocato Lovison dopo la sentenza

La cugina di Cinzia, Cristina Fusi, parte civile nel processo e che ha seguito ogni udienza in tribunale a Ferrara, è scoppiata in lacrime alla lettura del dispositivo: “Giustizia è fatta, non aspettavo che questo”, è il suo commento.

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