Egregio Direttore,
nei giorni scorsi le cronache locali si sono occupate dei diversi incendi scoppiati nelle pinete e nelle aree boscate del mesolano. Non mi è parso di vedere alcuna notizia relativa alla grande distruzione di verde a causa degli schianti ed ai recenti tagli di alberature all’interno della foresta demaniale Gran bosco della Mesola: una foresta di oltre mille ettari in gestione al corpo dei Carabinieri forestali.
Tutto il legname caduto e anche quello tagliato, è raccolto in grandi mucchi ai margini della foresta, probabilmente pronto per essere macinato da una ditta ravennate, come è capitato anche nel recente passato nelle pinete locali. Il presente grido di allarme, al di là della spoliazione del verde, nel silenzio degli enti e popolazioni locali, è la progressiva desertificazione del territorio a causa degli schianti, tagli abbondanti ed indiscriminati e, da ultimo, gli incendi verosimilmente per mano ignota.
Pensare che fino ad una settantina di anni fa la foresta rappresentava un vanto ed una sicurezza per le popolazioni locali.
Un vanto per la lussureggiante vegetazione, frutto del lavoro e delle cure con criteri forestali da parte della proprietà, la SBTF, che dava reddito a diverse famiglie.
Una sicurezza, in quanto il legname rappresentava la fonte principale di riscaldamento delle case. Inoltre la povera dieta familiare veniva integrata da proteine nobili, frutto di bracconaggio di necessità, da parte di qualche abitante locale più avventato.
Non vorrei che, un pezzettino alla volta, la foresta fosse distrutta completamente; un amico che era con me lamentava che nei suoi ottant’anni, non gli era mai capitato di vedere la foresta nelle condizioni attuali.
La cosa dovrebbe preoccupare un pò tutti, in quanto, al di là del patrimonio boschivo, la foresta rappresenta una testimonianza storica dell’evoluzione del territorio curato dapprima dai frati pomposiani e via via da parte dei vari proprietari che si sono succeduti per tramandare fino a noi un bene unico, frutto di secoli di lavori e di cure.
Lucio Maccapani
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