Il questore Cesare Capocasa
Cita papa Bergoglio, ma non è un sacerdote. Parla di idee per migliorare la città, ma non è un politico. Parla di processi mentali relativi alla sicurezza, ma non è uno psicologo. Veste la divisa, ma si definisce un uomo di strada.
Abbiamo incontrato il nuovo questore Cesare Capocasa nel suo ufficio di Palazzo Camerini. Parole schiette dietro un elegante completo grigio e la voglia di lasciare un segno. Queste le prime impressioni dopo un lungo colloquio, fissato per conoscersi dopo due mesi dal suo arrivo in città.
I comportamenti dettati dalle norme anti contagio impediscono la stretta di mano, e allora il suo modo di presentarsi è un immediato biglietto da visita: “io vedo la Polizia in senso molto preciso. La nostra attività è fatta di prevenzione e controllo operativo e dinamico del territorio”. Quel “dinamico” indica il fatto di “ascoltare, intercettare i bisogni del cittadino. La nostra esistenza ha un senso se ogni giorno cerchiamo di intercettare e analizzare le difficoltà della gente che queste comunità oggi hanno”.
E allora in una città di piccole dimensioni come Ferrara il compito della volante oggi e magari del poliziotto di quartiere domani è anche quello di risolvere sul posto i problemi della quotidianità. E per farlo non servono armi se non quelle della razionalità e del buon senso.
Qualche esempio? “Io vengo dalla strada e sono abituato all’operatività. Io sono abituato a stare con i miei uomini, vengo dalla strada – ripeto – e me ne faccio un vanto dal punto di vista dell’operatività. A me le cose piace guardarle in prima persona”.
È così che il suo primo giorno a Ferrara lo ha passato a studiare il Gad. E 24 ore dopo era allo stadio, “per vedere quelle che possono essere le zone di disagio e capire eventuali contromisure”.
Già, le contromisure per un problema che assilla Ferrara da almeno 30 anni. “Troppo tempo, non mi sembra normale. Penso a tutto il personale che vi abbiamo portato e a quello che ci è costato. Non ho la bacchetta magica, però cominciamo ad affrontarli questi problemi”.
Il punto diventa quasi una sfida per la conquista del territorio. “Se ci siamo noi loro non ci stanno; si spostano, certo, ma andranno dove creano meno disagi. Se ci sono loro, facciamo molta più fatica una volta che si sono stabilizzati a toglierli, perché non abbiamo forze consistenti. Ma non è possibile che io arrivi in treno a Ferrara e per andare in centro città devo avere il problema di non passare di lì perché gli spacciatori o chi bivacca mi creano delle difficoltà. Questa è una limitazione della libertà personale a tutti gli effetti”.
Capocasa si dice “perfettamente conscio della difficoltà di sradicare 30 anni di Gad”, però vedere questa gente sotto gli androni a mo’ di Scampia o di Zen a Palermo non è tollerabile. È un disagio, correlato a una situazione di illegalità evidente, palese”.
Intanto da due mesi c’è un servizio continuativo della Polizia di Stato dalle 8 di mattina fino alle 22 di sera. Ma non basta. Ecco allora qualche suggerimento che spunta nel corso della conversazione e che potrebbe essere colto dall’amministrazione comunale: chiudere il sottopasso ferroviario nelle ore notturne e recintare i giardini di Viale Costituzione, ma in modo efficace.
“Quei giardini vanno recintati con una soluzione seria, rigorosa, con la presenza di un custode”. Soluzione identica era stata adottata a Ravenna, dove Capocasa aveva operato allora come comandante della Squadra mobile. “Adesso si fanno feste per bambini, sono spazi esclusivi per le famiglie”.
Poi una illuminazione adeguata. “Il sociologo, non il sottoscritto, dice che se c’è buio si crea un elemento di insicurezza, se c’è luce si arriva a un elemento di sicurezza. Metti insieme tutto questo contesto e in tempi brevi, non biblici, credo che un urto positivo possa verificarsi”.
Un urto positivo che significa una migliore qualità della vita. “Il problema è la sicurezza urbana più che la sicurezza pubblica – spiega il questore -. Diminuiscono i reati, ma non diminuisce la percezione di insicurezza. Perché? Perché è la sicurezza urbana, il decoro della città, che incide. Una amministrazione comunale se lo deve porre questo problema, perché se io passo davanti al Gad e accompagno un bambino, di fronte a certe situazioni cambio strada, giro da un’altra parte. E non è una limitazione della libertà personale non poter circolare liberamente nella propria città? Questa è insicurezza urbana che porta a una percezione di insicurezza esponenziale, perché non riesci a vivere in tranquillità la tua comunità”.
Ecco la sicurezza urbana, insomma, “conquistare e vivere liberamente il proprio territorio in quegli spazi che vengono occupati in modo incivile”. E non è un discorso di ideologie e frange politiche. La stessa strategia era stata adottata a Reggio Emilia, con una giunta di centrosinistra, quando Capocasa era vicequestore.
Esulando per un momento dalla questione Gad, utile sarebbe, secondo il questore, anche un lettore di targhe all’altezza dei due caselli autostradali e delle arterie di maggior percorrenza come la Romea: “per la nota e perdurante carenza di risorse non si può più fare un controllo del territorio, ma si può avere un territorio sotto controllo. Mille occhi sulla città, come auspicava Minniti, anche grazie alla collaborazione degli istituti di vigilanza. Ecco che così il territorio viene controllato da più soggetti, arriviamo al controllo di vicinato”.
Ma niente spot, “io devo conoscere il territorio dove esprimo la mia funzione di autorità provinciale di pubblica sicurezza. Per questo sono stato a Cento e Comacchio. Mi piace la polizia che faccia, che produca, che sia tangibile”.
E qui si torna alla fondamentale importanza del comunicare con il cittadino, “il vero termometro della sicurezza”. Ma il termometro va anche letto e, soprattutto, va misurato in base alle necessità.
Nel luglio 2018 Capocasa era questore a Imperia. A Ventimiglia arrivarono da mezza Europa duemila persone per sfilare al corteo No borders. Allora quel termometro diventò negoziatore. “Feci accomodare in questura delegazioni di centri sociali e anarchici. Discutemmo, ci confrontammo anche aspramente e, alla fine, trovammo un accordo per evitare che si bloccasse la principale arteria di comunicazione. Sono convinto, alla luce dei miei 32 anni di servizio, che quando con la gente ci parli in qualche modo una chance la stai dando, ti vedono una figura diversa, capiscono che tu il tuo lo stai facendo e alla fine una via di mezzo la trovi”.
C’è un altro tema caro al questore. La battaglia contro la violenza sulle donne. Un tema su cui lavora da vent’anni. “A Reggio Emilia nel 2008 era il deserto dei tartari, La Casa delle donne non sapeva a chi rivolgersi. Abbiamo incominciato a lavorarci da settembre a maggio 2008 e dopo 8 mesi di confronto è uscito il primo protocollo contro violenza sulle donne”.
Molte delle cose scritte in questo articolo le sentiranno presto, Covid permettendo, anche gli studenti in classe dalla viva voce del questore. “Fa parte della mia professione andare nelle scuole e parlare di educazione, cyberbullismo e temi affini. Ci vado perché queste tematiche le sento mie. Ricordiamoci sempre che la Polizia è al servizio dei cittadini. Pensiamo a cosa ha detto il Papa: «il vero potere è il servizio». Noi esistiamo perché siamo al servizio dei cittadini”.