Attualità
4 Aprile 2020
Intervista a Brunilda Marku: “In reparto? È dura e spesso ci sono momenti di sconforto, ma siamo fiduciosi che questa situazione finisca presto”

Il racconto della pneumologa a Cona: “Terribilmente difficile, ma andiamo avanti”

di Redazione | 6 min

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La pneumologa Brunilda Marku

“È tutto umanamente terribilmente difficile, ma andiamo avanti”. Il racconto degli operatori sanitari in prima linea in questa emergenza colpisce dritto al cuore. Come la storia di Brunilda Marku, pneumologa dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara – albanese di nascita e ferrarese di adozione – che ci racconta la vita lavorativa in un reparto Covid. Si parla di medicina, ma non solo: anche di solidarietà che passa da una città all’altra e da un Paese all’altro. Sono quei gesti che ci fanno sentire vicini anche in questo momento di grande difficoltà.

Dottoressa ha qualche commento in merito al supporto offerto dall’Albania alla nostra sanità?

“L’Albania deve tanto all’Italia che l’ha sempre aiutata e sostenuta nei momenti più bui della storia degli ultimi 30 anni, per cui sono solo contenta che il mio piccolo paese abbia fatto qualcosa con le sue possibilità. Dalle mie parti si dice “Pane, sale e buon cuore”. Noi credo che in questo ci abbiamo messo soprattutto il cuore”.

Dott.ssa Marku da quanto tempo vive in Italia e perché ha deciso di trasferirsi qui? Ha dei parenti che vivono in Italia?

“Vivo in Italia da circa 24 anni. Avevo 18 anni quando ho terminato le superiori e, ai tempi, l’Albania stava vivendo un periodo di transizione. I miei genitori, vista la situazione politica, mi dissero che se volevo proseguire gli studi all’estero erano pronti a sacrificarsi per mantenermi economicamente. Perché Ferrara? Tramite amici italiani che avevo conosciuto in Albania. Mi ero informata e me ne avevano parlato molto bene; e per una come me che veniva da un paese piccolo sarebbe stata una buona scelta. Così ho deciso, senza alcun dubbio, di scegliere proprio Ferrara. È stato un caso del destino. In Italia ovviamente avevo parenti, sparsi un po’ ovunque; i miei parenti più vicini abitavano a Firenze e andavo spesso, mentre non avevo alcun parente a Ferrara, tranne un’amica italiana di Crevalcore (Bologna) che, insieme alla sua famiglia, mi ha aiutata molto e mi ha accolta come se fossi la loro figlia; per questo non finirò mai di ringraziarli”.

Come si trova a Ferrara?

“All’inizio è stata dura. La nostalgia per la famiglia era grande. Piano piano, con gli anni, mi sono abituata. Ferrara è una città splendida, ricca di storia e di cultura, piena di brave persone”.

Perché ha deciso di fare il medico e di specializzarsi proprio in pneumologia?

“Ho scelto di fare il medico perché avevo questa passione fin da piccola, con tanta voglia di mettermi al servizio degli altri. All’inizio, nei miei sogni, volevo fare la cardiologa ma poi, una volta frequentato il Reparto di Pneumologia, mi sono innamorata dell’ambiente, dell’umanità dei miei maestri e non mi sono mai pentita della scelta che ho fatto. Non avrei saputo fare altro!”.

Da quanto tempo lavora presso l’Azienda Ospedaliero–Universitaria di Ferrara?

“Ho iniziato la specializzazione nel 2002 e da allora ho sempre mantenuto i rapporti con l’Azienda Ospedaliera tramite contratti prima in regime di convenzionamento, poi a tempo determinato e da qualche anno a tempo indeterminato. Ho avuto un distacco solo per circa un anno dove ho lavorato in Pneumologia a Rovigo”.

Com’è stato il suo percorso da studentessa di medicina, prima, e di medico, poi, all’interno del Sant’Anna?

“All’inizio, come dicevo, è stata dura. Poi piano piano le cose sono cambiate, in meglio ovviamente. Avevo tanti amici all’Università, cercavo di studiare e finire gli esami in tempo così da poter stare il più possibile a casa durante l’estate e rientrare a ottobre a esami finiti. Durante la specializzazione c’è stata la svolta. Mi sono trovata in un ambiente fantastico. Ho avuto dei grandi maestri ai quali devo tanto. In primis all’allora primario e direttore della Scuola di Specializzazione, il prof. Adalberto Ciaccia, un maestro e un padre per me e credo per tutti noi, poi al prof. Alberto Papi (attuale direttore dell’Unità Operativa di Pneumologia, dove presta servizio oggi la dott.ssa Marku, ndr) che ha sempre creduto in me e mi ha sostenuta, alla dott.ssa Castelleti, responsabile della Degenza e nostra tutor, al dott. Calia, responsabile del Day Hospital, un grande clinico e amico, ai grandi endoscopisti e maestri dott. Ravenna e dott. Pasquini, alla bravissima dott.ssa Boniotti, grande professionista e amica, alla dott.ssa Ballerin, che ha sempre mostrato grandi capacità organizzative e grande sostegno per noi medici “più piccoli”. A tutti i colleghi, con i quali adesso siamo un team e ci sosteniamo a vicenda, e agli infermieri della Pneumologia devo solo dire grazie”.

Come sta vivendo l’attuale emergenza legata al Coronavirus?

“Questa emergenza ci ha trovati in prima linea perché, dai primi di marzo (esattamente dal 10 marzo), la nostra degenza si è trasformata in una Pneumologia Covid. Come ogni patologia nuova, della quale si sa poco ma di cui si sente parlare molto, avevo un po’ di timori e perplessità ma ho cercato di vedere il lato positivo in tutta questa situazione. Ci sentiamo più vicini, con i colleghi, gli infermieri – che sono bravissimi – e l’Azienda che ci ha messo nelle condizioni di lavorare bene, con tutti i presidi necessari per svolgere al meglio il nostro lavoro. È dura, non è facile, spesso ci sono i momenti di sconforto dovuti allo stress e alla stanchezza del lavoro, ma andiamo avanti, fiduciosi che questa situazione finirà presto”.

Come si svolge la “giornata tipo” di un medico che svolge la sua attività in un Reparto Covid?

“Si parte al mattino con la vestizione dalla testa ai piedi (mascherina, occhiali di protezione, guanti, calzari, camice, ecc). Ogni collega che inizia il turno entrando in un reparto Covid rimane vestito fino a fine turno, così come i nostri infermieri e operatori socio sanitari. La fatica è tanta, ma ormai siamo abituati. Si fanno le consegne con il collega che ha eseguito il turno di notte, si discutono i casi clinici di tutti i pazienti tra colleghi e poi si parte con il giro visita. Ogni paziente ha una storia clinica diversa. Siamo molto fortunati ad avere un grande team di medici anestesisti e rianimatori, bravissimi colleghi di grande professionalità e pronta disponibilità, che sono sempre in prima linea e ci aiutano tantissimo in questo periodo di emergenza”.

C’è qualche consiglio, come esperta, che vuole fornire alle persone per aiutare a prevenire i contagi?

“Il consiglio è quello di stare a casa e non andare in giro, di portare un altro po’ di pazienza. È l’unico modo per uscire da questa situazione. Una volta finito festeggeremo tutti”.

C’è qualche paziente la cui storia o il cui percorso l’ha toccata particolarmente durante questa emergenza?

“Le storie sono tante. È triste quando i pazienti non possono vedere i propri cari e, a volte, neanche sentirli perché hanno un respiratore o sono troppo affaticati per poter parlare. È triste quando, dall’altra parte del telefono, con la voce che trema i figli, i nipoti e anche i genitori ti chiedono di andare a dire ai propri cari che loro ci sono e li abbracciano forte forte. È difficile dire ad un paziente che, in un altro Reparto Covid, c’è la moglie o il marito ricoverato. È difficile quando un nipote ti chiama e ti dice che il nonno è tutta la famiglia che gli è rimasta e tu gli devi dire che il nonno non c’è l’ha fatta. È tutto umanamente terribilmente difficile”.

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