Comacchio
15 Febbraio 2020
A Comacchio amministratori e tecnici fanno il punto sulle prime risultanze archeologiche, in attesa del progetto definitivo di recupero del sito

Sant’Agostino, uno scrigno di storia strappato al degrado

di Redazione | 3 min

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Comacchio. Restituire un luogo simbolo della città alla sua comunità è certamente l’obiettivo primario della corposa operazione di recupero del complesso di Sant’Agostino, chiesa, convento, fortezza e più di recente plesso scolastico che campeggia come un rudere nel quartiere omonimo, a Comacchio.

Mentre un progetto preliminare di recupero, promosso dall’amministrazione del sindaco Marco Fabbri, ha già ottenuto il benestare della Soprintendenza, l’area è attualmente ‘campo di battaglia’ degli esperti archeologi, intenti a riportare alla luce reperti e resti risalenti alle diverse epoche che lo storico edificio ha attraversato.

L’occasione è utile, per amministratori, storici e tecnici, a fare il punto su quanto è già emerso e su come saranno orientati i lavori di recupero. “Parlerei di un progetto di trasformazione” sottolinea l’architetto Antonello Stella, che insieme al suo team si è aggiudicato il concorso di idee lanciato nel 2017.

“L’area su cui andremo ad intervenire ha già regalato emozionanti ritrovamenti, tra abitazioni lignee, tombe e resti di ossa umane. Nel complesso tutto verrà trasformato senza aggiungere ulteriori volumi, ma recuperando e valorizzando gli spazi originari. Si interverrà anche con architetture contemporanee, in particolar modo nella realizzazione dell’auditorium, ma sempre tenendo conto dell’identità del luogo e l’asset originario, consolidando quel poco che è rimasto in piedi e puntando a creare nuovi spazi destinati alla cittadinanza. Tra questi immaginiamo anche un’area che racconti attraverso allestimenti di vario genere, la storia stessa di Sant’Agostino e la sua evoluzione nel tempo”.

Fonte di ispirazione e in qualche modo guida preziosa per i tecnici sono ancora oggi gli studi e gli approfondimenti realizzati dallo storico Aniello Zamboni, anche lui presente in occasione dell’incontro pubblico – parecchio partecipato – organizzato a Palazzo Bellini.

“La rilevanza archeologica del sito – ricorda Zamboni – è senz’altro molto alta. Tra le macerie di San’Agostino resta ben poco, ma in quel poco c’è tanto da salvare. L’auspicio è che la storia di Sant’Agostino e le sue testimonianze tangibili non vengano sacrificate con elementi di cattivo gusto, come accaduto in passato, per la smania di modernità degli amministratori di turno”.

A vigilare anche su questi aspetti delicati è la Soprintendenza, mentre il Segretariato Regionale del Mibact non fa mancare la supervisione sull’impiego delle risorse, considerato che il progetto vedrà la luce anche e soprattutto grazie a risorse ministeriali (per un totale di 6 milioni di euro, di cui due provenienti dalle casse comunali).

Un tour guidato nel grande giardino di Sant’Agostino – in quello che attualmente si presenta come un cantiere archeologico in piena attività – rende l’idea della grande quantità di reperti e manufatti che il team di archeologi sarà impegnato a studiare, recuperare e rendere in qualche modo fruibile nei prossimi mesi, anche in una Sant’Agostino completamente ridisegnata e finalmente strappata al decadimento

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