Premetto che non sono certo io la persona più autorevole per farlo e se altri lo hanno fatto nei giorni scorsi forse mi sarà sfuggito. Mi riferisco alla memoria che vorrei richiamare di un personaggio legato alla nostra città, scomparso i primi di febbraio di venti anni fa: Vincenzo Cavallari.
Confesso che non mi sarebbe venuto in mente di farlo, se il suo ricordo non mi fosse tornato in mente nei giorni scorsi per un fatto del tutto accidentale. Ascoltavo distrattamente alcuni programmi televisivi e radiofonici di largo ascolto dove hanno trovato spazio non pochi interventi di persone comuni e in uno anche una nota opinionista televisiva. Tutti questi interventi chiamavano in causa il diritto di voto, affermando più o meno, che sarebbe giusto negarlo a chi non è in grado di comprendere le questioni su cui vota.
Svaniti i rumori sospetti che ho percepito all’istante provenire dalle tombe dei nostri padri costituenti, ho messo a fuoco alcuni ricordi dei miei lontani studi universitari. E questo mi ha condotto casualmente alla memoria della persona che dicevo, della cui scomparsa ricorre il ventennale.
Ebbi la fortuna di frequentare le lezioni del professor Vincenzo Cavallari, docente di procedura penale all’Università di Ferrara. Il Professor Cavallari fece parte di quella squadra di giuristi che composero l’Assemblea Costituente, discussero e forgiarono la nostra Carta Costituzionale e non ultimo quel diritto di voto che ogni tanto torna sul banco degli imputati.
Ricordo in particolare una sua frase detta a lezione che più di tutte mi è rimasta dentro. Si parlava dei giudici di estrazione popolare che nei processi penali potevano essere investiti di decisioni tecniche complesse, spesso superiori al loro grado di istruzione e comprensione. La questione era chiarire come poteva il processo sfociare in una decisione corretta su questi presupposti.
Il professore usava ripetere spesso -parlando del ruolo che ha l’avvocato nel processo – questa frase: “Non esiste al mondo questione tanto complessa che non si possa rappresentare in modo semplice comprensibile a tutti”.
Onestamente siamo tutti ignoranti rispetto a discipline tecniche che non conosciamo, e la politica è una di queste nella complessità della società moderna. Ciò detto però la prospettiva verso cui tendere, suggerita dai nostri padri costituenti, non è escludere chi non reputiamo all’altezza, ma operare per annullare ogni distanza tra chi sa e chi non sa.
Ognuno per il ruolo che ha è investito del dovere di stabilire questa comunicazione. Una democrazia funziona anche, ma soprattutto, sulla comunicazione della complessità dei problemi a beneficio di tutti, e non certo escludendo chi a nostro giudizio non comprende i problemi. Un corpo elettorale che amputa se stesso, del resto, sarebbe un corpo che non va più da nessuna parte.
Ma per concludere c’è un aspetto davvero paradossale e grottesco della questione: cioè che i sostenitori della cosiddetta “patente di voto”, se discutessero fra loro sui criteri per selezionare gli esclusi, si escluderebbero tutti a vicenda tra loro.
Umberto Scopa