Sbandano con la moto. Due feriti in via Calzolai
Schianto con feriti a Malborghetto di Boara, dove - nella serata di giovedì 1° maggio - una motocicletta su cui stavano viaggiando due persone è andata a sbattere autonomamente contro un guardrail
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di Pietro Perelli
Sono accorsi in tantissimi alla libreria Libraccio per la presentazione del libro “Il coraggio e l’amore” di Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo. Quasi non si passa in sala San Crispino, le sedie sono tutte occupate e moltissimi rimangono in piedi fin sulle scale.
Ad accompagnare la presentazione, oltre agli autori, ci sono Marco Zavagli, direttore di Estense.com, il professore di Diritto Costituzionale Andrea Pugiotto e il professore di Procedura Penale Francesco Morelli, entrambi dell’Università di Ferrara.
Tocca ad Andrea Pugiotto iniziare la presentazione del libro che “non è sul caso Cucchi perché questo non è un caso, ci sono tanti altri nomi a testimoniarlo, quello di Federico Aldrovandi, quello di Giuseppe Uva e tanti altri quindi non si tratta di un caso eccezionale e dobbiamo quindi chiamarlo omicidio Cucchi”.
Non si può derubricare questo cambio di parole a mero fatto accessorio ma, si evince durante l’incontro, è un cambio culturale sostanziale che potrebbe dare forza e giustizia alla tenacia di Ilaria Cucchi perché come dice Fabio Anselmo “la tua famiglia Ilaria è condannata a un ergastolo giudiziario come le altre che hanno vissuto sulla loro pelle processi come questo”. E tale condanna dipende anche dalla gogna a cui è sottoposta e, ricorda Zavagli, “questa mattina sono arrivate sul profilo Facebook di Ilaria minacce di morte”.
Ci si trova di fronte a un dialogo che probabilmente rispecchia il libro passando dalle problematiche giudiziarie alle difficoltà che affrontano i protagonisti fin da quando, dice Ilaria Cucchi, “Fabio mi disse che dovevano essere scattate le foto del corpo martoriato di mio fratello all’obitorio, un sacrificio enorme per me e per la mia famiglia che abbiamo dovuto rivedere per sempre quelle immagini con cui abbiamo salutato Stefano e che invece avremmo voluto dimenticare”. E proprio nel corpo, “nell’habeas corpus – dice Pugiotto – risiede il perno del patto tra il cittadino e le forze dell’ordine tenute a portare il corpo incolume davanti all’autorità giudiziaria”. Questo viene rimarcato anche dal prof. Moretti che ricorda come “è sancita dal diritto costituzionale la presunzione di innocenza di cui Stefano continuerà a godere in eterno non avendo potuto avere un processo”.
“Oggi – dice Ilaria Cucchi – dopo dieci anni di una cosa devastante, disumana e intollerabile, quando ti trovi a prendere il posto dello Stato, oggi ho capito quanto di indifferenza si può morire. E mio fratello è morto di indifferenza”.
Marco Zavagli ricorda che questo libro potrebbe essere una seconda parte di “Federico”, libro di Fabio Anselmo sull’omicidio Aldrovandi, che si conclude proprio con la chiamata di Ilaria. “In questo – spiega Zavagli – c’è un passaggio in cui Ilaria descrive l’arrivo nello studio di Anselmo a Ferrara e vede una donna alta con i capelli arruffati, è Patrizia Moretti, mamma di Federico”. E quando Ilaria Cucchi sente parlare per la prima volta in tv di Federico Aldrovandi era, dice, “un qualsiasi signor Rossi che pensa che una cosa del genere non potrà mai capitargli e invece è successa”.
L’incontro si snoda su due filoni principali che paiono naturale conseguenza del libro nel quale, dice Anselmo, “abbiamo voluto scrivere l’umanità di chi vive queste tragedie” e in cui è anche presente il racconto delle vicissitudini processuali. Due filoni uniti da una donna che insieme al suo avvocato si trova a “prendere il posto dello Stato” e che oggi continua Ilaria Cucchi ha “ottenuto giustizia non solo per noi ma anche per tutti i carabinieri per bene”.
Una giustizia difficile da ottenere perché, dice Anselmo, “lo Stato quando lo hai contro nelle aule giudiziarie non scherza”.
“Nel nostro paese – spiega l’avvocato – dovremmo ripartire dalla legge uguale per tutti perché chi ha potere economico o posizioni di forza ha maggiori speranze di vincere una causa. Se ripartissimo dall’avere una legge uguale per tutti oggi saremmo ai due terzi del lavoro e forse noi non saremmo qui e Stefano sarebbe ancora vivo”.
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