Attualità
6 Ottobre 2019
Di detenzione nel nostro e in altri Paesi ha parlato a Internazionale il sociologo assieme a Michael Flynn di "Global detenction project" e Rony Brauman di "Medici senza frontiere"

Manconi: “Carcere ambiente patogeno, scatena smarrimento e suicidi”

di Redazione | 4 min

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A parlare di questi temi delicati nella splendida cornice del Teatro comunale di Ferrara, sono stati il sociologo Luigi Manconi, Michael Flynn di “Global detenction project” e Rony Brauman di “Medici senza frontiere”. A coordinare l’iniziativa, invece, il giornalista Marco Damilano de “L’Espresso”.

Partendo da un ambito puramente sociologico, Manconi ci spiega come la prigione prenda in possesso l’intero uomo. I detenuti, infatti, “sono anche nella condizione di stranieri e quindi doppiamente dietro le sbarre”. In particolare, il grado di civiltà di una democrazia “è direttamente proporzionale alle pene inflitte ai propri detenuti”. Ma il sociologo poi giunge a tremendi dati reali che riguardano in primo piano il nostro Paese: 60.000 persone recluse con una capienza massima di 50.000, 52 minori da 0 a 6 anni incarcerati insieme alle loro madri, 67 suicidi di carcerati nel 2018 (il più alto dato della nostra storia repubblicana) e 78 poliziotti penitenziari suicidi negli ultimi 10 anni. Questo – ribatte Manconi – “è la prova che il carcere sia un ambiente patogeno che scatena smarrimento e suicidi”.

In questo contesto dai toni quasi surreali, si aggiungono i numerosi detenuti stranieri di cui i media deformano i numeri, che in realtà si attestano intorno al 30%. E sono proprio loro i protagonisti di uno strappo a livello giuridico dai livelli inauditi. “Con la legge Turco-Napolitano del 1998 – spiega il sociologo – vennero istituiti i cosiddetti Cpd (centri di permanenza temporanea), nei quali si concentravano esseri umani non responsabili di nessun reato, ma solo di irregolarità amministrativa. Quest’azione, quindi, andò contro i principi dell’articolo 13 (“Qualsiasi privazione di libertà deve essere motivata dalla violazione della legge…”) ma soprattutto fu un’azione che si concentrò esclusivamente su una categoria, ossia quella degli stranieri”. Con il tempo, i Cpd hanno cambiato nome, tempistiche e modalità, ma le funzioni sono rimaste le stesse.

Un altro fenomeno che si sta verificando in Italia è la figura del carcere come sostitutiva di quella di welfare. Per Manconi, si è di fronte a “una crisi dello Stato sociale che non assicura più una tutela”. L’errore, in particolare, sta anche nell’affidarsi ad associazioni private che “non possono essere sostituite dalla mano pubblica che rimane imparziale”.

Se ci rapportiamo, invece, al mondo intero ci appare una situazione ancora più drammatica. Se Michael Flynn si concentra sull’esternalizzazione della detenzione in cui non troviamo più un solo Stato a gestire i detenuti, Rony Brauman di “Medici senza frontiere” ci parla della sua esperienza sul campo. Per lui, la detenzione assume sfaccettature del tutto diverse a seconda di ogni parte del mondo.

Si parla di un orfanotrofio in Sudan dove, leggendo i registri, vengono accolti più di 500 bambini all’anno e di questi il 75% muore. “Un vero e proprio campo di sterminio per bambini – commenta il medico – la cui unica colpa è essere nati fuori dal vincolo matrimoniale. A questi episodi non vanno dimenticati molti ospedali in Francia durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, in cui le persone rimanevano senza cibo per giorni e spesso le forze di polizia le maltrattavano”.

A tali episodi vanno aggiunte le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versano molti luoghi di detenzione del mondo. “In alcune prigioni russe, ci sono stati casi di infezioni gravissime con conseguenza la tubercolosi. Per non parlare della Costa D’Avorio dove, in determinati periodi dell’anno, all’interno delle carceri scoppiano focolai di colera che colpiscono detenuti e personale”.

“E’ proprio in questi luoghi – continua Brauman – che cerchiamo di agire per migliorare le condizioni di salute e il nostro grande sforzo è quello di far uscire le persone malate per ricoverarle in strutture adeguate. Non è semplice trattare con le autorità, bisogna sempre cercare un compromesso”. Per quanto riguarda, invece, la detenzione di immigrati, il medico propone ancora una strada diplomatica “che convinca lo Stato ad usare metodi alternativi alla detenzione per accogliere queste persone. Inizialmente sono anche d’accordo, lanciano slogan ma non si conclude mai nulla”.

Siamo di fronte ad una situazione ricca di problematiche senza ancora soluzioni sufficienti. Probabilmente, la cosa più assurda – come sottolineato anche da Damilano – “sta nella privazione della libertà per quello che si è, e non per quello che si fa. Siamo di fronte al reato dell’essere”. Una constatazione alquanto amara, ma che racchiude in sè tutto il senso di questo incontro che probabilmente ha aperto gli occhi a molti su situazioni di cui si parla ancora troppo poco.

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