Attualità
25 Settembre 2019
Il ricordo straziante del padre di Federico: "Il giudice più severo rimarrà la loro coscienza di uomini e genitori, con la sola speranza che non accada mai più"

Aldrovandi, 14 anni dopo. Papà Lino: “Agenti ancora in servizio, per me ergastolo senza appello”

di Redazione | 3 min

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“Federico il 17 luglio 2005 compiva 18 anni per sempre”. È un pensiero che spezza il cuore quello di Lino Aldrovandi, a quattordici anni dall’uccisione di suo figlio avvenuta alle ore 06,04 del 25 settembre 2005 da parte di quattro agenti della polizia di Stato: Monica Segatto, Enzo Pontani, Luca Pollastri e Paolo Forlani.

“Federico non c’è più. È la cruda realtà che rivedo attraverso un’immagine orribile che mai nessun genitore vorrebbe vedere” racconta il papà di Federico Aldrovandi, condividendo su Facebook “quell’immagine terribile che fummo costretti a renderla pubblica a quei tempi, dall’inerzia di tante cose”.

Ma poi “una piccola strada verso una piccola giustizia si aprì. Una cosa è certa, Federico non morì di malore, ma di ben altro. Fu ucciso senza una ragione. Anche se di ragioni per uccidere non potranno mai essercene. E di ingiustizie in questa nostra Italia, sia ben chiaro, non esiste solo quella di Federico e tutte meriterebbero eguale attenzione”.

“Non c’è più musica e non ci sono più colori nella vita, quando ti viene a mancare l’aria e il profumo del respiro di un figlio” confessa Lino, precisando che “la vittima purtroppo rimarrà Federico dietro quel marmo, in quella tomba, senza mai aver mai fatto del male a nessuno e senza aver mai commesso alcun reato,né in quel momento, né mai. Bastonato di brutto per mezz’ora, di cui due manganelli ritornati in Questura risultarono rotti (atti processuali), con alla fine impresse sul suo corpo ben 54 ferite e non solo, causate da un’azione improvvida e violenta che arrivò a spezzargli il cuore per una forte compressione o per un forte colpo (atti processuali), da persone definite in Cassazione dal procuratore generale durante la sua arringa: “schegge impazzite””.

Gli agenti condannati “hanno già scontato la loro pena, così secondo la legge degli uomini, ma sono convinto, anche se è difficile crederlo dopo tutti questi anni di silenzi, che il giudice più severo rimarrà la loro coscienza di uomini e sopratutto di genitori, che in un’alba assurda di una domenica mattina di 14 anni fa, non riuscirono ad ascoltare quelle grida di “basta e aiuto” che un ragazzo di 18 anni, solo e disarmato, stava loro proferendo, nel tentativo disperato di farli desistere da quell’azione di morte. Quelle grida le sentirono a centinaia di metri da quella via che definirei del silenzio, ma furono smentite da chi intervenne su di lui (4 agenti) adducendo in udienza, riferendosi a Federico: “non proferì parola”. Chissà perché”.

Il dolore straziante per la morte di un figlio, acuito dal fatto che “quegli agenti pregiudicati, dal mio punto di vista di genitore e di cittadino, assurdamente ancora in divisa, soprattutto per le parole scritte dai Giudici nelle motivazioni di condanna in tutti i tre gradi di giudizio (dal 2007 al 2012), sferzanti di responsabilità senza se e senza ma, che vanno ben al di là della punizione lieve comminata, sono ancora in servizio. Per me invece fino alla fine dei miei giorni sarà un ergastolo senza appello, con la sola speranza che ciò che è accaduto a Federico non accada mai più a nessun figlio”.

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