Lettere al Direttore
11 Settembre 2019

La morte di Atika poteva essere evitata?

di Redazione | 6 min

Dal 2012 ad oggi sono state uccise 853 donne per femminicidio, nel 2018, si segnalano 94 assassinii e 58 nel corrente anno; inoltre nelle ultime settimane si sono registrati diversi casi, nella regione e di cui due nel ferrarese.

In queste ore è balzato agli onori della cronaca l’assassinio di Elisa Pomarelli nel piacentino, la 28enne è stata strangolata da quello che doveva essere un suo amico, Massimo Sebastiani di 45 anni; ammazzata perché indisponibile alla sua volontà. Ancora una volta il caso di un uomo che pretende di avere un diritto su una donna, in nome di quello che lui e solo lui prova, quindi incapace di vederla come una persona indipendente dai suoi desideri, lei che si sottraeva due volte al desiderio del maschio, in quanto donna indisponibile per eccellenza, essendo lesbica.

Nel nostro territorio a fine agosto a Copparo (FE) viene uccisa a colpi di mattarello alla testa, Cinzia Fusi di 34 anni, dal compagno, nonché datore di lavoro di 52 anni, Saverio Cervellati.

Infine il più recente femminicidio datato 4 settembre, ai danni di Atika Gharib, una donna di 32 anni residente a Ferrara uccisa e data alle fiamme dall’ex compagno 42enne M’Hamed Chamekh, che ne ha occultato il cadavere carbonizzato, in un casolare a Castello d’Argile (BO).

Gli ultimi mesi di vita della vittima, a detta dei familiari, difesi dall’avvocato Marina Prosperi, sono stati caratterizzati dal comportamento persecutorio dell’ex fidanzato; questi atti sono stati documentati tramite messaggi audio e video dell’indiziato, inviati ai familiari. Nello specifico in una telefonata M’Hamed racconterebbe l‘aggressione nei confronti di Atika: “lei il mio amore l’ho mandata al Signore che la metterà in un involucro che mi aprirà quando io la raggiungerò da lui, se ci amiamo sinceramente ci rincontreremo. Sai adesso ci sono le fiamme dappertutto, ho dato fuoco a tutto per cancellare ogni mia traccia…non mi voleva dire niente, poi all’ultimo m’implorava. E’ andata via stamattina verso il cielo, io sono pazzo, innamorato…”.

Per la vittima, dalle dichiarazioni dei familiari, sono state settimane di paura per il comportamento violento dell’uomo, dopo che lei lo aveva denunciato, il 2 agosto, a seguito di una molestia nei confronti di una delle due figlie, lo stesso pare che sia tornato più volte nella casa della donna a Ferrara; tra le altre in un’occasione, viene sempre riferito dai familiari, si sarebbe nascosto nello scantinato, dove una volta sorpreso con un coltello, avrebbe minacciato Atika e la sorella.

Sarebbe stato emesso un divieto di avvicinamento, mai notificato perché Chamekh era irrintracciabile; ma tante sono le domande a riguardo di questo terribile delitto: è stato fatto passare troppo tempo dalla prima denuncia, perché l’ex compagno non è stato arrestato? L’omicida presumibilmente le ha teso una trappola.

Quello che si vuole sapere è se la morte di Atika poteva essere evitata, vista l’emissione di una misura cautelare, nonché pare le numerose chiamate alle forze dell’ordine, che avrebbero dovuto far scattare l’arresto in flagranza, non permettendogli di avvicinarsi ancora alla donna. L’uomo è accusato di omicidio e distruzione di cadavere, lo stesso ha inviato ai familiari, messaggi vocali in cui li avvertiva di aver bruciato la sorella.

In sintesi dopo un mese di reiterate minacce e aggressioni, non si poteva evitare questo ennesimo femminicidio, perché la donna non è stata messa in sicurezza, evitandone una morte sin troppo annunciata? Resta poco comprensibile il fatto che come avrebbero dichiarato i familiari, a seguito delle denunce, la donna sia stata lasciata sola a fronte di continue minacce dell’ex compagno, che si sono purtroppo concretizzate nel modo agghiacciante che conosciamo.

In merito al resoconto dei media sui femminicidi si pone l’attenzione sul fatto, che spesso si descriva la situazione in una sola prospettiva emergenziale, a carattere transitorio in una visione che non è innocua, innanzitutto perché trascura l’ordinarietà della violenza connaturata a determinate e secolari relazioni sociali tra uomini e donne.

Le narrazioni tendono ad ascrivere la violenza come una dimensione di crisi “di perdita di controllo”, “di raptus”, “eccesso di passione”, “malata”, “follia”; ancora su molti giornali si parla “d’amore”, ignorando l’articolo 14 della Convenzione di Istanbul, dove si afferma che la violenza di genere è sempre, se non solo, un problema culturale.

In merito all’improprio utilizzo del linguaggio da parte dei giornalisti, si ricorda inoltre la mancata applicazione anche della Carta di Venezia; infatti le errate narrazioni arrivano ad una sorta di giustificazione, di riabilitazione del colpevole, come a creare empatia nei suoi confronti.

Invece per contrastare e prevenire la violenza di genere, si deve rappresentare una donna che con il suo “NO” si mostra come un’eroina positiva anziché vittima, un modello di forza e libertà per chiunque voglia cambiare la cultura patriarcale che alimenta la violenza contro le donne, spesso rese “disponibili” nelle immagini pubblicitarie.

Definizioni come “il gigante buono” descritto “in preda ad un raptus passionale di quell’amore non corrisposto”, non fa che neutralizzare gli aspetti contestuali di sopraffazione fisica, sia nello storico di paura che può provare una donna nei confronti di attenzioni morbose di un uomo più grande di età e molto più forte fisicamente.

Inoltre spesso in questi resoconti non si fa menzione di come è stata barbaramente uccisa la vittima; tali narrazioni non sono neutre, incompetenti o meschine, bensì sono un vero e proprio atto politico, una dichiarazione di guerra che si chiama BACKLASH, spesso denunciata dal movimento di “Non una di Meno”.

Si tratta di non accettare che stia divenendo egemonica la lettura in chiave di genere e di ordine di potere, che vuole il femminicidio come forma estrema di assoggettamento delle donne, non tollerate perché non più come quelle di una volta.

La violenza viene relegata ad un fatto privato, un fatalismo dell’amore primitivo e morboso, con la conseguente attribuzione di responsabilità alla vittima, sprovveduta, incauta o ingiusta perché respinge “l’omone buono”, in una sorta di marginalizzazione delle istanze femministe con la finalità di silenziare la lotta.

In Italia si segnala la scarsa ricezione delle politiche europee di contrasto alla violenza di genere, che hanno avuto il merito di raccogliere decenni di elaborazione dei femminismi in modalità molto avanzate. In esse si evince l’importanza della prevenzione e dell’intervento a livello educativo, sono indispensabili maggiori investimenti in percorsi formativi e culturali sin dalla scuola primaria e nella società per abbattere il pregiudizio e la discriminazione contro le donne e le persone lesbiche, gay e trans. Il tutto tramite un processo di rafforzamento delle donne a livello occupazionale, economico, sociale e politico, non secondaria è inoltre la legislazione europea che sottolinea i processi di vittimizzazione a cui le donne che hanno subito violenza sono sottoposte, se non colpevolizzate.

Per tutte queste ragioni Rifondazione Comunista di Ferrara sarà presente alla fiaccolata di giovedì 12 settembre alle 21 con ritrovo in Piazza Savonarola, nel centro cittadino, in ricordo delle ultime vittime nel nostro territorio e per contrastare ogni femminicidio; inoltre sarà a fianco delle battaglie delle famiglie di Cinzia Fusi e di Atika Gharib per verificare se tutto è stato posto in atto, per evitare femminicidi fin troppo spesso annunciati.

Stefania Soriani, segretaria della federazione di Rifondazione Comunista di Ferrara

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