Attualità
2 Luglio 2019
Roberta Previati racconta il dolore e l'angoscia vissuta esattamente due anni fa per l'omicidio del figlio avvenuto a Valencia il 2 luglio

Lo strazio della mamma di Marcello Cenci: “Una tragedia che non finirà mai per noi”

di Redazione | 5 min

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Marcello Cenci

“2 luglio 2017… quella domenica maledetta! L’ultimo messaggio avuto da mio figlio Marcello alle ore 0:47 di quel giorno. Poi più nulla”.

Comincia così la lunga lettera di Roberta Previati, mamma di Marcello Cenci, il giovane morto nell’androne di uno stabile a Valencia, dove viveva, strangolato nella notte del 2 luglio 2017 dal suo amico Eder Guidarelli, che guidò per 15 ore da Pontelagoscuro. Una lettera straziante, quella della madre di Marcello, nell’anniversario della scomparsa del figlio per mano di un giovane accecato dall’odio. Una lettera che ripercorre quella tragica notte per come lei stessa l’ha dovuta vivere, tra angoscia e dolore. Partendo proprio da quei messaggi che non hanno avuto nessuna risposta.

Gli ho scritto che mi stava facendo morire dalla preoccupazione, ma Marci non poteva più rispondere perché non era più con i vivi. L’assassino – scrive mamma Roberta – lo aveva già ucciso. Poi la tragedia. I Carabinieri di Sassoferrato (io e mio marito eravamo a Cabernardi) verso le 18, si sono presentati a casa dicendoci di telefonare al Consolato spagnolo. Ci siamo guardati in faccia spaesati e impauriti. Dopo poco gli stessi Carabinieri sono tornati per comunicarci che nostro figlio era stato ucciso a Valencia la notte appena trascorsa. Non so esprimere i sentimenti che si provano: rimani inebetito e non ci vuoi credere, non ci credi”.

Poi i momenti immediatamente successivi: “Tanti amici e conoscenti di Cabernardi subito intorno a noi. Sapevano dello stalking violento di Eder Guidarelli verso mio figlio Marcello ed hanno capito subito la tragedia che ci stava colpendo… e poi le telefonate. E poi il viaggio di ritorno a Ferrara grazie a due carissimi amici che ci hanno accompagnato con due auto. Per tutto il viaggio avevo notizie da Enrico che cercava in qualche modo di tranquillizzarmi perché era stato emesso un mandato di cattura dalla polizia spagnola e che stavano per arrestare Eder Guifdarelli. All’arrivo a Ferrara davanti alla casa dell’assassino vedo la sua auto parcheggiata e non capisco più nulla. Mi viene spiegato che ha preso quella della sorella. Mille pensieri, un dolore lancinante, non sapevo cosa stavo vivendo e speravo, speravo che Marci in quel tragico momento fosse ubriaco in modo da non rendersi conto di ciò che gli stava succedendo. Invece dall’autopsia risulta che sono passati ben venti minuti prima di morire. Una enormità. Chissà se ci ha chiamato, chissà se ha chiesto il nostro aiuto come ha fatto durante la terza aggressione sotto casa nostra. Era solo con il suo assassino che temeva, solo e indifeso. A Ferrara, dopo la mezzanotte (non ricordo effettivamente l’ora in cui siamo arrivati) c’era tanta gente che ci aspettava, parenti, amici… tante persone.

“Ma quegli stessi giorni – lamenta la mamma di Marcello – i contatti con il Consolato di Valencia e di Barcellona erano tenuti esclusivamente da mio marito, telefonicamente e via mail. Soli. Eravamo soli. Il “Comune” non ha fatto nulla, non ci ha aiutato nonostante io fossi ben conosciuta in quell’ambiente. Mio marito da solo ha tenuto i contatti con le onoranze funebri valenciane tramite un interprete. E il corpo di mio figlio è potuto ritornare in Italia solo dopo aver pagato 9000 euro per il trasporto. L’auto funebre era guidata da due giovani, un ragazzo e una ragazza. Ci hanno consegnato una busta: dentro l’anello nero che mio figlio portava il giorno dell’omicidio e che ora indosso sempre, la sua carta di identità e due braccialettini in cotone che portava alla caviglia… dei suoi effetti personali a tutt’oggi non abbiamo avuto altro. Insieme al corpo di Marcello sei scatole a lui intestate e numerate con tutti i suoi abiti e piccole altre cose, ben ordinati, che aveva nella sua camera a Valencia. Li avevano preparati i suoi amici con un ordine quasi maniacale. Un gesto preziosissimo fatto con amore. Dalla Spagna spessissimo ricevo ricordi, fotografie, apprezzamenti riguardanti Marcello. Adoro tutti i suoi amici spagnoli anche se non li conosco”.

Ma lo strazio di Roberta Previati non finisce qui, continua anche dopo l’arrivo della salma del figlio ucciso. “Quindi finalmente – racconta – arriva mio figlio ma il Pm decide di trattenere il suo corpo per una ulteriore autopsia. Volevamo che Marcello riposasse per sempre in pace ma abbiamo dovuto aspettare tanto tempo. Non ricordo nemmeno più il giorno del funerale. Il feretro è stato scortato dalla Polizia Municipale dalla camera mortuaria di Cona alla parrocchia di Pontelagoscuro. Tanta tanta gente, tanti giovani. Ma io ero inebetita. Anche da Cabernardi tante persone persino con lo stendardo della Miniera dello Zolfo. Ho voluto che fosse letta la lettera che Marcello mi ha inviato il 1° giugno 2017. Sembrava quasi che sentisse che qualcosa di grave stava per succedere. Quella lettera per noi è diventata il suo testamento. Caro caro Marcello. Poi Enrico, il suo amico, ha letto un suo personale ricordo così come un amico di Cabernardi”.

Oggi, nel giorno dell’anniversario della morte di Marcello, la sofferenza di mamma Roberta non si è attenuata: “Come dimenticare tutto questo dolore, come rassegnarsi alla perdita di un figlio, avvenuta in questo modo. Vado a salutare Marcello tutti i giorni al cimitero, così come tutti i giorni gli telefonavo. Ma ora non ci parla più, non ci manda più messaggini, non mi dice più di stare tranquilla, non gli mando più le fotografie del suo amatissimo nipotino. Una tragedia che non finirà mai per noi. Ed ora ho voglia di lasciare per sempre la mia casa, custode per anni delle nostre vite e dei nostri ricordi. Ma non riesco più a rientrare a casa passando dal portone principale tanto è vivo il ricordo della terza aggressione di Eder Guidarelli su mio figlio, delle grida di mio figlio che ci chiamava, del sangue che ha perso. Tanto tanto sangue”.

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