Dal 10 giugno diversi maître à penser di sinistra si sono profusi in impietose spiegazioni sull’inevitabilità del risultato elettorale. Sono perfidi perché, visto che sapevano, potevano avvisare almeno un anno fa di come andava a finire il PD continuando a confondere realtà virtuale e realtà aumentata col mondo vero.
E avvisare con i titoli di stampa, come fanno adesso: non essendo la lettura lo sport nazionale, non pretenderanno che si leggano anche i contenuti degli articoli!
E quei poveri firmatari dell’Appello pubblicato venerdì 7 giugno per il voto di domenica 9?
Parafrasando la spigolatrice di Sapri, erano più di duecento, giovani e forti (si fa per dire) e son quasi morti (dal ridere, per non piangere, il lunedì seguente).
Se avessero saputo come stavano le cose, avrebbero accettato di coprirsi di ridicolo reclamizzando un Modonesi vaneggiante come Hitler a Berlino nell’aprile ‘45? Così, la surreale proposta di votare uno che promette di fare il contrario di quanto ha fatto, e sopratutto non fatto, per vent’anni, ha trasformato i firmatari nei bersagli ideali dei pataccari di mezzo mondo. Adesso, ogni volta che escono di casa rischiano di trovarsi fra i piedi dei tipacci che propongono di giocare ai bussolotti.
Ma bastava dirlo subito, no? che come è sempre successo nelle conventicole del potere, dal sacro Kouboukleion del Gran Palazzo di Bisanzio, al Serraglio della Sublime Porta, al crepuscolo degli dei nel bunker della cancelleria di Berlino, il problema è storicamente noto, se ne conosce l’evoluzione che fatalmente aggredisce i protagonisti: il contagio da Sindrome di Zelig.
Proprio quello che ha colpito l’ambiente PD e affini in Comune dopo settantanni di okkupazione. Trattandosi di malattia incurabile, l’unico rimedio per riqualificare il PD consiste nel sostituire tutti con gente nuova. Cioè proprio quello che adesso svelano gli opinionisti di sinistra, aggiungendo malignamente che si è suicidato! E invece è l’esito di un normale delirio da senescenza.
Paolo Giardini