Lo vedo crescere giorno per giorno il triste giardino di cemento di piazza Verdi, perché purtroppo sono costretta a passarci davanti quotidianamente.
Ho visto l’eradicamento di sei pini marittimi, alti e sani, lo smantellamento dello strato di asfalto, la terra affiorare e subito scomparire nella colata di cemento armato destinato a sostenere le sgraziate aiuole rialzate, in cui, quasi a contenerne da subito la bruttezza, sono stati piantati tre mesti alberelli e una piccola siepe.
Chi è avvezzo a convivere con le creature vegetali sa che oltre alla chioma, le piante hanno le radici le quali si estendono nello spazio tanto quanto si espande la chioma e sappiamo che quelle radici troveranno barriere di cemento armato a contenerle.
Una vita già mutilata, come i piedini delle gheishe giapponesi che non dovevano crescere per ragioni estetiche.
Così provo pena per queste vite vegetali che dovrebbero sostituire l’inutile strage di altre vite nel pieno del loro splendore.
Lo chiamano giardino! Ma fin da piccola mi hanno insegnato – e poi ho continuato ad insegnarlo io da maestra – che in un giardino c’è la terra, ora purtroppo qualsiasi bambino mi potrà obiettare che ci sono i giardini di cemento!
Non so chi sia il genio che ha progettato questa disgraziata creatura ma è facile indovinare chi invece l’abbia voluta realizzare: gli stessi che ora in campagna elettorale promettono più alberi e intanto coprono la terra di cemento. Sarà che non si sono mai sporcati le mani di terra!
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