28 Aprile: nella giornata internazionale della memoria per i lavoratori che muoiono per incidenti sul lavoro e malattie professionali la Confederazione dei Sindacati Europei lancia un appello al futuro Parlamento e alla Commissione Europea.
Negli Stati membri dell’UE è calcolato che nel periodo 2014-2019 siano deceduti circa 900 mila lavoratori , di cui la metà per effetto di malattie tumorali correlate al lavoro.
Ma la situazione è senz’altro peggiore di quanto raccontino le statistiche, che non parlano della mancanza di sicurezza e salute dei lavoratori e delle lavoratrici il cui lavoro è oggetto di grave sfruttamento e per questo occultato.
In Europa e in Italia ancor oggi ci si ammala, ci si infortuna e si muore a causa della fatica e dell’alienazione.
I campi, le officine e i cantieri non saranno in prospettiva i luoghi dove si concentrerà la forza lavoro ma di certo oggi in molti casi sono ancora sedi pericolose ed insalubri ed a questi bisognerà aggiungere l’insicurezza dei lavoratori della gig economy (fattorini, ciclofattorini, autisti, collaboratori delle piattaforme digitali).
In attesa delle trasformazioni tecnologiche e digitali sarà quindi necessario che il lavoro vecchio e nuovo sia oggetto di politiche di protezione, tanto più lo deve essere in una fase di transizione dove il forte ingresso dei processi di automazione induce a disinvestire sulle misure tradizionali di riduzione dei rischi conosciuti.
A trentanni dalla prima Direttiva Quadro concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e salute dei lavoratori durante il lavoro e alla vigilia di elezioni del Parlamento, è giusto domandarsi come sarebbero le condizioni di sicurezza senza una legislazione europea e le Direttive tematiche che ne sono discese: macchine, piombo, amianto, cancerogeni.
Le narrazioni portate avanti dai movimenti sovranisti sono false e grottesche, perché sanno che tornare alla sovranità nazionale spezzando le istituzioni europee metterebbe ciascun stato membro nella impossibilità di realizzare autarchicamente quanto si è prodotto con le Direttive continentali generate dalla Direttiva 391 del 1989.
Certo occorre fare di più e per questo la Ces rivendica nei riguardi del legislatore e dei datori di lavoro di:
– aumentare a 50 le sostanze cancerogene su cui fissare i limiti di esposizione
– introdurre una direttiva più stringente sullo stress
– introdurre un disciplinare per affrontare i disturbi muscolo scheletrici
– avviare un dibattito sulla prevenzione dei decessi stradali e dei suicidi legati al lavoro anzitutto nei settori dell’economia digitale.
In Italia la politica della prevenzione sconta molti ritardi in tema di una corretta applicazione delle norme, e questo è dovuto ad un insieme di fattori tra i quali una diffusa propensione di piccole e piccolissime imprese ad eludere gli adempimenti: formazione dei dipendenti, progettazione della valutazione reale dei rischi, riconoscimento della rappresentanza dei lavoratori.
Nelle Regioni più ricche del Paese si registra l’aumento del lavoro informale, della esternalizzazione dei cicli produttivi a finte cooperative o ad appalti simulati, del lavoro nero, dell’economia criminale a cui si somma il ricorso esasperato al part time involontario e alla reiterazione dei contratti a termine e somministrati.
Per questa ragione persistono forti preoccupazioni sulle tutele nel lavoro, tema che richiama troppo frequentemente il nesso tra illegalità e insicurezza, e a cui la politica, innanzitutto, dovrebbe dare soluzioni che sino ad oggi non si sono viste o non hanno comunque determinato efficaci e tangibili risultati.
Riccardo Grazzi (Segreteria Camera del lavoro di Ferrara)
Maria Lisa Cavallini (Coordinatore Sicurezza Luoghi di lavoro Cgil Ferrara)