Lettere al Direttore
24 Aprile 2019

L’omelia del vescovo per San Giorgio

di Redazione | 6 min

Solennità di S. Giorgio 2019
L’impegno sociale e politico dei cristiani per la città
(S. Giorgio, 23.4.2019)
S.E. Mons. Gian Carlo Perego
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

Cari fratelli e sorelle, la solennità di S. Giorgio cade quest’anno nell’Ottava di Pasqua, e ci fa guardare alla santità del nostro martire Patrono, nel contesto della testimonianza degli Apostoli – ricordata dal libro degli Atti – e nella gloria del Signore Risorto che, nella pagina evangelica di oggi, appare a Maria, in lacrime davanti alla tomba vuota. Ci uniamo al pianto di Maria al sepolcro di fronte a un vile attentato terroristico in Sri Lanka che ha ucciso decine di persone, tra cui numerosi fratelli e sorelle cristiane in preghiera nelle loro chiese: sono i nuovi martiri di questa Pasqua. La testimonianza del martire S. Giorgio, unitamente ai nuovi martiri, è una rinnovata chiamata alla santità, impegno e vocazione per tutti i cristiani. E la città è il luogo della vita dei cristiani chiamati ad essere santi. Un saluto deferente alle autorità civili e militari cittadine, che ci onorano della loro presenza e rendono ancora più vivo questo rapporto stretto tra il Patrono e la città.

Si sente molto parlare di città in questi tempi di attesa delle elezioni. Ognuno esprime desideri, paure, preoccupazioni. Ognuno avanza proposte, progetti, programmi. Legittimamente. Anche la Chiesa, che è nel mondo – come ricorda la costituzione conciliare Gaudium et spes – invita i fedeli all’impegno sociale e politico, così da condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” della gente, soprattutto dei più poveri. Legittimamente. Già papa Benedetto, nell’enciclica ‘Deus caritas est’ aveva ricordato, in un passaggio molto bello – ripreso da papa Francesco nell’ esortazione Evangelii Gaudium, come vada inteso l’impegno sociale della Chiesa: “essa vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili. La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare” (n.28).

La fede cristiana ha certo una dimensione interiore, cioè prende forma dal ‘cuore’ o dall’anima, dalla coscienza guidata dalla preghiera, dal “fare la volontà di Dio” – come diciamo nel Padre nostro. Ma al tempo stesso l’atto di fede si esprime dentro un tempo e un luogo nel quale, attraverso i segni dello Spirito – che sono segni esteriori, pubblici, sociali – siamo condotti a Dio. Comprendiamo allora che l’altra dimensione della fede, del sensus fidei, è quella sociale, che ci ricorda come nella relazione – che sa interpretare i segni dello Spirito e i segni del tempo, come eventi che strutturano la vita della persona dentro la comunità e dentro la città – s’impara a discernere e si decide.

E questa decisione e condivisione nasce dalla storia di Gesù, che è passato in mezzo a noi facendo del bene, e dalla storia della santità della Chiesa, che ha saputo fare della storia il luogo della testimonianza del Vangelo di Gesù. Già dai primi giorni dopo la Pasqua – come ci ha ricordato la pagina degli Atti degli Apostoli – la Chiesa cresce sull’annuncio e la testimonianza di Pietro e dei discepoli che incrociano la vita del popolo, della gente.

Purtroppo, però, sono frequenti anche nelle nostre comunità due errori, che, ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, si devono evitare. Papa Francesco considera “nocivo e ideologico”, “l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista” (G.E. 101); come considera un errore “quello dei cristiani che separano queste esigenze (sociali) del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Nei santi – ricorda papa Francesco – “Né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura del Vangelo diminuirono la passione e l’efficacia della loro dedizione al prossimo, ma tutto il contrario” (G. E. 100).

La storia è il luogo in cui costruire una comunità nuova, un’autentica fraternità, la dimensione sociale della Chiesa. L’indole sociale della Chiesa la porta a valorizzare l’interdipendenza tra gli uomini, la ricerca del bene comune, l’attenzione alle persone deboli: “Soprattutto oggi urge – scriveva la Gaudium et spes – l’obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un’unione illegittima…o affamato” (n. 27). O ancora, l’indole sociale della Chiesa chiede l’attenzione a tutto ciò che offende la vita: “Ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario;…le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche;…le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro disumano” (n.27).
C’è una sintonia tra ciò che affermava oltre cinquant’anni fa la costituzione conciliare Gaudium et spes e oggi l’esortazione apostolica Gaudete et exultate di Papa Francesco, che scrive: “La difesa dell’innocente che non è nato… deve essere chiara, ferma e appassionata. Perché lì è in gioco la dignità della vita umana…Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù”. E conclude il Papa: “Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo” (G.E. 101).

Se vero che non occorre far coincidere il progresso umano e la realizzazione del Regno, la realtà della storia e l’escatologia, è vero anche che nella storia Dio è presente, accompagna con amore l’uomo e che “quei valori quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità” (G.S. 39) sono un segno dei cieli e della terra nuovi, sono un segno della santità.
Cari fratelli e sorelle, la memoria del nostro Patrono, il martire S. Giorgio, ci aiuti ad avere uno sguardo di particolare attenzione alla nostra città, in questo tempo in cui siamo chiamati al voto, perché ogni scelta e decisione sociale e politica dei cristiani guardi sempre ai più poveri, ricerchi sempre la giustizia e il bene comune, costruisca fraternità. Così sia.

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