Cento
8 Marzo 2019
La Cassazione respinge il ricorso presentato dal brigadiere Sabino. Nel 2010 aggredì un giovane con il calcio dell'arma d'ordinanza

Definitiva la condanna per il carabiniere che colpì un ragazzo con la pistola

di Daniele Oppo | 2 min

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La Corte di Cassazione (foto di Cédric/Flikr/CC BY SA 2.0)

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e così diventa definitiva la condanna per lesioni a carico del brigadiere dei Carabinieri Daniele Sabino che il 23 gennaio del 2010 colpì con il calcio della pistola la testa del giovane Edoardo Tura.

“Edoardo ha avuto giustizia – commenta l’avvocato di parte civile, Fabio Anselmo -. Sono soddisfatto per lui e per la sua famiglia”.

Il fatto nasce dopo un controllo stradale dei Carabinieri che fermarono l’auto in cui Tura si trovava con alcuni amici. Al conducente venne fatto l’alcoltest, che risultò negativo. Tura scese e si avviò a prendere la propria auto per andare a casa, poco distante da dove era stato effettuato il posto di blocco, nei pressi di una fornace a Renazzo. Arrivato a destinazione, parcheggiata l’auto nel cortile, Sabino gli si è avventato contro.

Ne nacque una breve colluttazione in cui il giovane si difese prendendo per il collo il carabiniere. Il militare si sporcò la giacca con della polvere bianca e si convinse che fosse droga che il giovane teneva in mano (le analisi hanno però dimostrato che si trattava solo di calce). Sentendo le grida del figlio, i genitori di Tura chiamarono le forze dell’ordine. Il ragazzo – che non aveva assunto droghe, né le deteneva, né aveva assunto alcol – venne denunciato e arrestato per resistenza a pubblico ufficiale (poi assolto in via definitiva).

Lui denunciò il militare per violazione di domicilio e lesioni. In primo grado Sabino venne condannato per il primo reato e assolto per il secondo. La Corte d’Appello ribaltò il giudizio – condannando per lesioni e non per violazione di domicilio – decidendo anche di non fissare per lui la pena minima ritenendo “la gravità della condotta dell’imputato, idonea in sé a provocare sfiducia da parte della collettività nei confronti di soggetti cui invece la legge demanda la difesa dei diritti dei cittadini, nonché in considerazione della condotta processuale dell’imputato tutt’altro che limpida”.

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