Eventi e cultura
4 Marzo 2019
Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere sfiorano il tema delicato e difficile della perdita di ricordi e volti

Padre e figlia, in salute e in malattia

di Redazione | 3 min

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(foto di Fabio Lovino)

di Federica Pezzoli

“Ho la sensazione di perdere le foglie una dopo l’altra”. A parlare è Andrea, il protagonista de “Il padre”, testo del francese Florian Zeller andato in scena da venerdì a domenica al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara con la regia di Piero Maccarinelli, Alessandro Haber nel ruolo di Andrea e Lucrezia Lante della Rovere in quello della figlia Anna.

Che cos’è la memoria? E che cos’è l’identità? Cosa tiene insieme le nostre giornate, la nostra quotidianità, le nostre relazioni e il nostro essere in relazione con il mondo?

La malattia dei genitori è un momento che la vita ci porta ad affrontare con estrema difficoltà psicologica, fisica e talvolta morale. È raro che, nella vita reale, qualcuno si metta nei panni del malato, che prova disagio e vergogna nei momenti di lucidità ed è inerme e incolpevole quando non lo è.

“Il padre” è un viaggio nei meandri di una mente turbata dalla malattia che perde i propri punti riferimento, incarnati tutti da quell’orologio che Andrea continua a perdere. E per una trovata geniale di Zeller, rispettata dall’allestimento di Maccarinelli, il pubblico li perde insieme a lui e diventa partecipe del suo smarrimento, del suo progressivo e irreversibile distacco dalla realtà. La pièce, infatti, mescola in continuazione, attraverso una serie di brevi quadri narrativi, le scene ‘reali’ e quelle ‘immaginate’ o ‘deformate’ da Andrea: i personaggi si scambiano i ruoli, gli attori i volti, i polli arrosto appena acquistati spariscono, l’appartamento del padre diventa quello della figlia, ma poi si scopre che è l’istituto di cura. La malattia – perché la parola Alzheimer rimane un tabù che non viene mai nominato – prende il sopravvento sulla vita e sull’identità di Andrea: il tempo e gli incontri perdono la loro linearità, i volti vengono sovrapposti ad altre persone o sostituiti ad altri volti e gli oggetti della vita quotidiana progressivamente scompaiono, dalla scena e dalla memoria.

La recitazione procede con un buon ritmo per segmenti narrativi brevi, interrotti da attimi di buio, perché si è rotto qualcosa dentro. Ed è qualcosa che rimane oscuro e incomprensibile a chi non lo viva in prima persona: “C’è qualcosa che mi sfugge”, dice Andrea alla figlia Anna, “è difficile da spiegare, non capiresti”. Ecco allora che nonostante l’affetto che si intuisce legare i due protagonisti, mano a mano le loro diventano due solitudini che corrono parallele, fino alla dolorosa decisione della figlia.

Magistrale prova di Alessandro Haber nel difficile ruolo di Andrea, cui riesce a dare profonda umanità e verosimiglianza, suscitando emozione e commozione, ma senza indulgere troppo nella rappresentazione pietistica: l’attore domina la scena e incarna perfettamente la scelta registica di non cedere troppo al dramma, lasciando spazio all’ironia e al sorriso. Accanto a lui, perfetta nel ruolo di spalla-coprotagonista, Lucrezia Lante della Rovere: la sua Anna fatica ad accettare la malattia del padre, a vederlo inerme come un bimbo piccolo, a pensare che i ruoli genitore-figlia si invertano. E così in lei ciascuno spettatore riconosce la difficoltà di prendersi cura di una persona che si ama e che si sta perdendo, il sentirsi incapaci di aiutare perché quando si ammala un genitore non si sa come comportarti.

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