Spal
24 Febbraio 2019
Intervista alla vecchia gloria biancazzurra. "I cascatori ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ma bisogna protestare con signorilità"

Spal, i consigli di Bozzao: “Migliorare sul pressing e non pensare ai soprusi”

di Redazione | 9 min

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Gianfranco Bozzao con la maglia biancazzurra in una foto d’epoca (Public domain/Wikipedia)

di Arnaldo Ninfali

Oggi, amici lettori, incontriamo Gianfranco Bozzao, detto il Tigre per la grinta con cui interpretava il ruolo di terzino sinistro negli anni della gloriosa Spal di Paolo Mazza. Era grintoso, il Bozza, ma sempre corretto e rispettoso dell’avversario, sul quale non entrava mai in modo rude, ma rubandogli il tempo nel contendergli il possesso della palla. Fu espulso una volta sola in carriera, ma per un svista dell’arbitro, che gli attribuì un fallo commesso da Massei. Con lui era difficile che un attaccante andasse giù in area perché sapeva che gli arbitri difficilmente gli avrebbero dato ragione.

Chi meglio del Bozza, dunque, può aiutarci ad analizzare i fatti e capire cosa davvero sia accaduto al 75° minuto di Spal-Fiorentina di domenica scorsa? Ma poi parleremo anche d’altro, lasciando che i ricordi riaffiorino e ridiano vita a episodi e nomi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del calcio italiano.

Cosa ne pensi, Gianfranco, della disavventura occorsa domenica alla Spal nel match con la Fiorentina?

Penso che questo tipo di sopruso non sia una novità. Le squadre cosiddette provinciali sono e saranno sempre perdenti nei confronti delle grandi. I cascatori ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Credo che sia giusto protestare, ma a mio avviso bisogna farlo con signorilità, soprattutto battendosi in campo fino alla fine, senza mai mollare e, fuori dal campo, parlare il meno possibile.

Ritieni che il regolamento del var vada rivisto sotto qualche aspetto?

Per quanto riguarda i cosiddetti gol fantasma, il fuorigioco non segnalato, il fallo di mano sfuggito all’arbitro, questa tecnologia è senz’altro utile. Solo che, quando la si usa, i giocatori sono costretti all’inattività per alcuni minuti, si raffreddano e a rischiano poi acciacchi muscolari. Inoltre mi sembra che chi è responsabile della moviola, non sempre riesca a interpretare in maniera corretta i contrasti che avvengono in area, lasciando sempre dei dubbi su qualsiasi decisione prenda. Ho il sospetto che il var sia stato accolto favorevolmente soprattutto da chi ne ricava vantaggi economici, come gli addetti preposti alla sua gestione. Ma se guardiamo bene, esso ha soppresso il gusto della discussione tra i tifosi, i quali amano anche scambiarsi le idee su certi episodi e non si accontento di una verità assoluta decretata da quel marchingegno.

Mi pare di capire che, secondo te, del var si potrebbe anche fare a meno.

Fare a meno no, ma l’arbitro dovrebbe rivendicare il proprio diritto di giudicare autonomamente, senza bisogno di un occhio che dall’alto pretenda di vedere più di lui. Ma come? Questi signori fanno dei corsi di preparazione intensi e difficili e poi, quando sono chiamati a esercitare le loro competenze, non sono liberi di decidere come vogliono? Potranno anche sbagliare, ma gli errori si spera siano equamente distribuiti.

Secondo te si può sospettare che Chiesa abbia accentuato gli effetti del contatto con Felipe?

Certo che si può, ci mancherebbe. Come ti dicevo, i cascatori sono sempre esistiti, tant’è vero che gli allenatori, prima della partita, li segnalano ai loro giocatori in modo che li affrontino con la dovuta cautela, senza dare loro il pretesto per fare sceneggiate. Se i difensori in partita se ne dimenticano, peccano di leggerezza e sono anche loro responsabili delle eventuali furbate che devono subire.

Anche ai tuoi tempi gli attaccanti erano soliti simulare in area di rigore?

Ma certo. Sai, quando si vuole vincere, non si riflette tanto sulla lealtà dei comportamenti da tenere in campo.

Ti ricordi di qualche attaccante che abbia rimediato un rigore per un tuo fallo inesistente?

Non so se sia perché non mi ricordo bene o perché in effetti non mi è mai accaduto, ma forse la seconda è quella più probabile. Io infatti avevo una dote: sapevo indovinare abbastanza bene i tempi di entrata ed era difficile che toccassi le gambe dell’avversario. Così dei grossi falli non ne ho mai commessi. Non mi sono neanche mai lasciato andare, come spesso fanno ora, a plateali trattenute per la maglia o a inutili contestazioni.

Mi fai un nome di un attaccante dei tuoi tempi che in area ci provava con una certa frequenza?

Mah, non saprei. Forse Altafini, che era un po’ piagnone e sempre irrequieto. Eppure era uno dotato fisicamente e di gol ne ha fatti una caterva.

Nella Fiorentina dei tuoi tempi il ruolo di Chiesa – correggimi se sbaglio – era ricoperto da Kurt Hamrin. Com’era in campo, come avversario?

Hamrin lo definirei un signore, come giocatore e come uomo. Come atleta aveva delle caratteristiche tutte sue personali che lo distinguevano da tutti gli altri di quel ruolo. Ad esempio, nella Spal, il suo ruolo è ricoperto da Lazzari, il quale, a differenza dello svedese, resta sempre sulla destra ad aspettare la palla per poi tentare la discesa sulla linea e andare a crossare. Hamrin invece svariava anche verso il centro, era più fantasioso e imprevedibile. Anche se, devo dirti, io con lui mi sono sempre trovato bene. Allora si marcava a uomo ed è stato mio cliente fisso. Lui stesso una volta disse che io ero uno che gli dava del filo da torcere. Perché, anche se continuava a muoversi da una parte e dall’altra nel tentativo di mettermi a disagio, io riuscivo a restare concentrato su di lui e così era lui ad andare in crisi. Non stava mai fermo: destra sinistra, sinistra destra, e io dietro. Non lo mollavo mai lui – non per nulla mi chiamavano il Tigre. In area andava incontro al pallone con delle scelte micidiali, con una rapidità che può essere paragonata, in epoca più recente, a quella di Pippo Inzaghi. Oppure mi viene in mente Sevcenko, con quella dote di arrivare una frazione di secondo prima dell’avversario sulla palla. E se questa gente qui la contrasti di testa, rischi l’arcata sopraciliare com’è giusto ridere. Non è un caso che Hamrin abbia fatto duecento gol in serie A e sia stato vicecampione del mondo con la Svezia nel 1958.

Qual è stato l’attaccante più corretto che ti ricordi d’aver affrontato?

Beh, mi ricordo di Perani del Bologna … Ma nel complesso non ho mai subito grosse scorrettezze, anche perché, come dicevo, giocavo pulito, indovinando i tempi di entrata sulla palla e non sono mai stato coinvolto in certi fattacci che si vedono oggi sui campi.

Tu hai giocato assieme a John Charles e Omar Sivori, il primo simbolo di correttezza e il secondo irrequieto e attaccabrighe. Com’era il rapporto fra i due, in campo e fuori dal campo?

Buonissimo. Si volevano bene. Fra i giocatori è difficile che ci siano attriti, di solito sono uniti fra loro e si aiutano a vicenda. Anzi Charles difendeva Sivori, perché l’argentino era piccoletto mentre il gallese una specie di gigante che faceva paura. Il gigante buono, lo chiamavano. Sivori non ci pensava mica due volte a partire con una testata in faccia a uno e, quando rischiava il linciaggio, Charles si metteva in mezzo e lui, per il momento, salvava la pelle. Era una brava persona. Ma anche Sivori lo era. Ricordo che qui a Ferrara aveva un amico che abitava all’inizio di via Garibaldi, e ogni tanto veniva a trovarlo. Una volta sono stato invitato a pranzo, assieme a lui, da questo suo amico e la sua compagnia è stata davvero piacevole.

Si dice spesso che le squadre di maggior prestigio godono di un occhio arbitrale di riguardo. Tu che hai giocato anche nella Juventus, ne hai avuto esperienza?

Beh, la Juve è la Juve, non c’è che dire. Ai miei tempi dire Juve era come dire Gianni Agnelli, e il potere che aveva quell’uomo non lo scopro certo io. L’avvocato era uno che alle quattro del mattino telefonava di qua e di là per dare ordini, aveva già letto tre giornali. Viveva sempre al limite ma quello che voleva lo otteneva. Puoi quindi immaginarti cosa potesse fare per la Juve, che quasi amava più di sua moglie. E non è che si facesse vedere tanto. Ricordo di averlo visto una volta sola, quando si rivolse a me pressappoco con queste parole: “Ma tu chi sei? Cosa ci fai qui, su questa nave? Chi ti ha comprato?”. E io riuscii solo a balbettare qualcosa, tutto intimidito com’ero.

In tutta la carriera sei stato espulso una volta sola per uno scambio di persona dell’arbitro, che se l’è presa con te invece che con Massei. Se allora ci fosse stato il var, sarebbe stato segnalato l’errore e tu l’avresti scampata.

E sarebbe stato un guaio, perché – ti racconto un aneddoto – devi sapere che io stavo soffrendo, da una decina di minuti, di un risentimento muscolare che, probabilmente, mi avrebbe impedito di giocare la partita successiva. Oscar invece era troppo importante per perderlo e così quello scambio di persona si rivelò provvidenziale.

Pensi che nel calcio di oggi saresti stato capace di evitare le espulsioni?

Mah, io credo di sì. Io riuscivo ad essere aggressivo senza entrare sulle gambe e credo che sarei riuscito ad adattare questa mia dote al calcio di oggi.

Provi un po’ di nostalgia del calcio di ieri?

No, perché a me piace il calcio di oggi. Mi sarebbe piaciuto giocare in quest’epoca. I calciatori non sono male, sono bravi. Oggi sono il risultato di una preparazione maturata nelle scuole di calcio, che formano con programmi prestabiliti e personalizzati. Ai miei tempi crescevamo per conto nostro, giocando nei prati per molte ore al giorno. Imparavamo a calciare la palla da autodidatti, avendo per maestri solo il prato e una palla di stracci. Insomma mi sarebbe piaciuto andare a scuola di calcio e imparare la corretta tecnica calcistica.

Quali sono stati i giocatori dei tuoi tempi che hai ammirato di più?

Beh, quelli più anziani, che avevano più esperienza di me. C’era tanto da imparare da loro. Ricordo Massei, che è stato il campione che è stato, Ganzer, Picchi. Ma ancora prima di iniziare la carriera, quando mio padre mi portava allo stadio, vidi giocare nel Venezia Valentino Mazzola, ma ho scarsi ricordi di quel grande campione che morì quando avevo tredici anni. Invece, avendo giocato nelle giovanili della Fiorentina degli anni cinquanta, ho dei grandi ricordi dello squadrone che vinse lo scudetto nel 1955. Al mercoledì c’era la partitella contro la prima squadra, così mi capitava di incontrare gente come Magnini, Cervato, Segato, Montuori, Julinho. In porta c’era Costagliola e, come secondo, Giuliano Sarti, che sarebbe stato il portiere della grande Inter di Herrera. Grandissimi giocatori dai quali ho imparato tanto.

E tra i giocatori di oggi, quali sono quelli che più ti impressionano?

Io sono stato un grande fan di Totti che, secondo me, non aveva niente da invidiare a Messi. Tra quelli in attività è scontato dire Ronaldo, Dybala, Messi stesso e tanti altri che chi sa di calcio non può non conoscere.

In conclusione, ritieni che la Spal si possa salvare quest’anno?

Io penso di sì. In fin dei conti ha ancora un discreto margine dalla zona caldissima, un margine che si è costruita con un tesoretto accumulato nelle prime partite; e poi ha avuto la fortuna di avere un certo numero di avversarie decisamente più deboli. Deve però cominciare a sfruttare il fattore campo e a vincere qualche partita. Naturalmente deve migliorare sul pressing. Ho sentito qualcuno dire, alcune sere fa, che non è possibile mantenere la stessa intensità di pressing per tutta la partita. Io invece dico che, se non ce la fai, vuol dire che non sei allenato. Quindi bisogna intensificare gli allenamenti per raggiungere il top nel pressing e nei recuperi palla. In questo modo, partendo dal vantaggio che già adesso vanta sulle inseguitrici, la Spal può senz’altro salvarsi.

Grazie di cuore, grande Tigre.

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