Politica
9 Febbraio 2019
Malacarne: "Il nuovo corpo sul giardino cambia radicalmente l’immagine del palazzo, piuttosto si costruisca sugli antichi corpi di fabbrica demoliti"

Italia Nostra smentisce Sgarbi: “Ampliamento del Massari si può fare, ma non così eccessivo”

di Elisa Fornasini | 4 min

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“Ferrara attende da decenni il restauro di palazzo Massari reso possibile, purtroppo, solo dall’evento drammatico del terremoto. Auspichiamo che i lavori di restauro proseguano e che l’edificio venga restituito prima possibile all’uso pubblico e alle funzioni museali ma ribadiamo la nostra contrarietà ad alcuni aspetti del progetto”.

Andrea Malacarne, presidente della sezione di Italia Nostra di Ferrara, ridimensiona di molto la polemica innescata da Vittorio Sgarbi contro l’ampliamento di palazzo Massari.

All’indomani della conferenza convocata dal critico d’arte, a cui Malacarne non ha dato forfait – “avevo comunicato a Sgarbi con una lunga lettera in data 29 gennaio che non avrei partecipato alla conferenza stampa, della quale mi aveva dato notizia non più di due giorni prima” – il numero uno della locale Italia Nostra precisa la sua posizione sul restauro del Massari.

“Nella lettera a Sgarbi – rivela Malacarne – cercavo di ribadire (perché di palazzo Massari già avevamo parlato), che pur concordando sulla critica ad alcune parti del progetto, si tratta di un caso, anche dal punto di vista disciplinare, molto diverso da quello di palazzo dei Diamanti e che una conferenza stampa in questa fase avrebbe rischiato di generare confusione e non risultati. Se dalle mie argomentazioni l’onorevole Sgarbi ha tratto la conclusione che io ho bisogno dello psicologo, non posso farci niente”.

Il presidente smentisce anche il presunto “commissariamento” della sezione ferrarese: “In realtà già nel 2015 espressi un dettagliato e ragionato parere sulla proposta di restauro di palazzo Massari, i cui contenuti sono stati giustamente richiamati da Mariarita Signorini, presidente nazionale dell’associazione, nel messaggio scritto in occasione della conferenza. La sintonia della sezione di Ferrara con la presidente nazionale sia sul restauro del Massari che sulla vicenda dei Diamanti mi pare dimostrino che il ‘commissariamento’ è frutto di pura fantasia“.

Le perplessità sollevate da Malacarne, raccolte da Signorini in una “ferma contrarietà“, riguardano soprattutto l’aggiunta di nuovo corpo sul giardino e la chiusura delle parti terrazzate su via Borso: “Tali nuovi volumi, e la finitura per essi proposta – si legge nella lettera del 2015 – cambiano radicalmente l’immagine e la percezione del palazzo sia dal giardino che da via Borso. Occorre valutare con molta attenzione e con la necessaria prudenza la necessità e qualità del nuovo impatto”.

Secondo l’architetto, oggi come allora, “la ricostruzione non può limitarsi ad una semplice ri-proposizione del preesistente, ma può e deve costituire occasione per un confronto complessivo e di respiro ampio sul futuro assetto delle strutture culturali ed espositive della città”.

Per questo chiedeva all’amministrazione un “confronto sulle funzioni da inserire nell’edificio storico di 8mila mq, senza dover ricorrere a forzature o ampliamenti contemporanei di dimensione eccessiva per ospitare le collezioni dell’Ottocento, il museo Boldini, il Museo De Pisis, il Museo Antonioni, oltre agli uffici della direzione delle gallerie civiche”.

Italia Nostra concorda quindi con il “metodo di costruire i nuovi volumi nell’area di sedime di antichi corpi di fabbrica nel tempo demoliti” ma reputa “eccessiva o comunque non adeguatamente motivata” la proposta di costruzione di nuovi volumi contenuta nel progetto, specie quando sono disponibili spazi alternativi che affacciano sul quadrivio dei Diamanti.

“Il timore che le funzioni identificate siano troppe – riprende Malacarne – aumenta se si crede che i musei non siano semplici luoghi di esposizione e di deposito, ma anche di studio e di ricerca. Oltre alle sale di esposizione permanente sarebbero dunque necessari ambienti di studio e di consultazione (possibilmente collegate con biblioteca e fototeca), aule didattiche, sale di esposizione temporanea del materiale non normalmente visibile, depositi accessibili agli studiosi per la consultazione delle opere”.

A questo proposito, l’architetto esprime “rammarico per la scelta di utilizzare come deposito uno dei due padiglioni posti sul retro del palazzo, rinunciando al ripristino della Sala Polivalente, uno dei luoghi simbolo della cultura della città nel secondo Novecento” e, infine, ravvisa “rischi nella scelta di riproporre la finitura presunta originale, con scialbatura chiara sui rilievi dell’apparato decorativo, di grandi dimensioni e di enorme impatto visivo. Effettuate le opportune prove e campionature, si ritiene che non debba essere esclusa a priori la possibilità di mantenere e recuperare l’immagine del palazzo scelta e consolidata negli ultimi due secoli”.

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