Provincia
5 Agosto 2010
Oltre un migliaio di imprese tessili gestite da cinesi in Italia hanno evaso il fisco per centinaia di mln di euro

Scoperta chinatown del tessile

di Redazione | 4 min

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Il colonnello Fulvio Bernabei della GdF di Ferrara durante la conferenza stampa

Quando i finanzieri del Comando provinciale di Ferrara hanno spalancato in piena notte le saracinesche di alcuni capannoni industriali nella provincia estense, si sono aperte di fronte a loro le porte di un altro continente. Decine di cinesi piegati davanti a macchine da cucire seminascosti  dietro quintali di pezze di stoffa tra avanzi di cibo e con accanto giochi, culle e girelli per bambini.
E’ saltata fuori dal nulla anche una vera e propria cittadella cinese creata all’interno di un capannone industriale, con abitazioni ricavate da pannelli di compensato coperte da tetti di stoffa, dove vivevano, in assoluto isolamento, decine di uomini, donne e bambini che si muovevano in rigoroso silenzio solo di notte e sull’unico tragitto che li conduceva al vicino laboratorio tessile.
Solo pochi di questi sapevano dove si trovavano, cosi’ come nessuno dei lavoratori delle vicine imprese si era mai accorto di quel mondo parallelo dove i diritti non avevano libero accesso.

In un altro caso, l’abitazione degli operai cinesi era stata ricavata in un angusto sottotetto del laboratorio cui si accedeva tramite una botola nascosta sul soffitto di un bagno.

Sono solo alcune delle tante esperienze fatte dai finanzieri nel corso di una indagine, partita nel 2008 in alcuni laboratori dislocati tra Bondeno e Cento, è terminata in questi giorni, sull’imprenditoria tessile cinese sviluppatasi in provincia di Ferrara,  che ha portato alla scoperta di 77 lavoratori cinesi in nero, 62 dei quali clandestini (11 arrestati), all’arresto di 2 imprenditori cinesi  ed alla denuncia altri 24 per reati fiscali, sull’immigrazione ed in materia di lavoro dipendente.

Partendo dalla documentazione rinvenuta nel corso dei primi blitz, la Guardia di Finanza di Ferrara ha anche scoperto una colossale truffa all’erario estesa su tutto il territorio nazionale.
A perpetrarla erano state ben  1.200 imprese tessili cinesi operanti in tutte le regioni italiane, con la sola eccezione della Basilicata, del Molise, della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige, che azzeravano sistematicamente il proprio carico fiscale grazie a fatture di acquisto false.
A tessere le fila di questo ramificato sistema di evasione fiscale erano 10  societa’ cinesi con sede in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Lombardia, la cui unica attività consisteva nell’ emettere, su ordinazione e con consegna a domicilio, le fatture necessarie ad abbattere i redditi tassabili.

Secondo la ricostruzione fatta dai finanzieri esisteva un vero e proprio tariffario delle fatture false, da un minimo di 150 euro ad un massimo di 600 euro per fattura a seconda dell’importo in esse esposto, fatture che in alcuni casi sono arrivate ad indicare anche 300mila-400mila euro. 
Inutile dire che a loro volta le 10 imprese emittenti non hanno mai provveduto a presentare alcuna dichiarazione fiscale.
Nel corso di appena 2 anni il sistema di false fatturazioni aveva consentito alle 1.200 imprese coinvolte di sottrarre a tassazione circa 250 milioni di euro,  con l’evasione anche di 45 milioni di iva.

Un altro momento della conferenza stampa

La dimensione negativa della vicenda non è tuttavia solamente fiscale, perchè oltre alla inaccettabile negazione agli operai cinesi dei più elementari diritti umani, le conseguenze delle condotte illecite scoperte si estendono sul piano economico sotto forma di grave compromissione concorrenziale del settore tessile nazionale, con la estromissione dal mercato delle imprese oneste che, sopportando i costi della tassazione e della manodopera, sono costrette a praticare regimi di prezzi superiori a quelli richiesti dalle imprese cinesi.  

Una novità assoluta è data dal fatto che, per la prima volta in una indagine sulla criminalità economica cinese, è emersa la presenza di professionisti contabili anch’essi cinesi.

La consulenza fiscale e contabile di buona parte delle 1.200 imprese coinvolte nell’indagine, infatti, è risultata essere svolta da commercalisti cinesi, figli della seconda generazione di immigrati,  laureati a pieni voti nelle universita’ italiane e subito divenuti professionisti di fiducia degli imprenditori tessili connazionali.
La disponibilità di figure professionali appartenenti allo stesso gruppo etnico, seppure a nessuna di esse è stato mosso alcun addebito, aggiunge tuttavia un ulteriore elemento di chiusura al già difficile  accesso alla comunità economica cinese, spesso del tutto isolata dal contesto geografico ed imprenditoriale in cui opera.

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