Cronaca
20 Settembre 2018
Il procedimento entra nel vivo con le testimonianze dell'ex comandante delle Fiamme Gialle e del commissario liquidatore

Processo Carife: sarà una lunga partita a scacchi

di Ruggero Veronese | 4 min

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Le fasi iniziali del maxi processo Carife ricordano per certi versi quelle di una lunga partita a scacchi: i giocatori sanno bene che prima o poi tutti i pezzi dovranno muoversi dai bordi della scacchiera e arrivare allo scontro frontale, ma per ora nessuno vuole lasciar intendere agli avversari la propria strategia.

Allo stesso modo, la prima ‘vera’ udienza del processo (dopo la lunga fase ‘filtro’ per l’individuazione di testimoni e soggetti coinvolti) ha visto le varie parti in causa passare in rassegna una lunga serie di questioni relative agli ultimi dieci anni di vita della banca ferrarese, cercando di far emergere dai testimoni in aula elementi e dichiarazioni che ritroveremo più avanti nelle fasi più calde del dibattimento.

E i primi due testimoni della procura sono sicuramente tra le figure più esperte e informate in merito alle dinamiche interne alla cassa di risparmio. Si tratta infatti dell’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza Sergio Giovanni Lancerin, in carica a Ferrara dal 2012 fino al 30 agosto scorso, e dell’ex commissario straordinario di Carife Antonio Blandini, tuttora in carica come liquidatore della ‘bad bank’ Nuova Carife. Persone quindi che – pur con ruoli e obiettivi molto diversi – hanno indagato a fondo sulle cause del dissesto.

Al centro dell’udienza è soprattutto l’aumento di capitale da 150 milioni di euro del 2011: da cosa fu determinato, come fu autorizzato e poi messo in pratica, e soprattutto come mai non raggiunse l’obiettivo auspicato all’epoca da Bankitalia, ovvero la solidità patrimoniale di Carife necessaria per scampare al dissesto. E dalla ricostruzione di Lancerin e Blandini emergono molti punti interrogativi relativi alla procedura messa in atto. Primo tra tutti quello relativo alle ‘partecipazioni incrociate’ tra Carife e altri istituti.

L’aumento di capitale fu infatti sottoscritto anche da altre quattro banche, per un ammontare di 22,8 milioni: la Popolare Valsabbina (per 10 milioni), Caricesena (6 milioni), la Popolare di Bari (4 milioni) e la Popolare di Cividale (2 milioni). Ma nello stesso periodo, a fine 2011, Carife attraverso la sua controllata Carife Sei sottoscrive partecipazioni azionarie per importi pressoché analoghi nei quattro istituti.

A tal proposito gli eventuali accordi tra vertici bancari sono ancora materia di indagine in un’inchiesta autonoma, ma il discorso tocca anche questo processo in corso. Soprattutto per i suoi effetti sull’aumento di capitale: se questa sorta di ‘partita di giro’ avvenne realmente, significa che dei 150 milioni necessari nel 2011 a consolidare Carife ne mancarono all’appello 22,8. E di conseguenza l’investimento effettuato dai risparmiatori fu, già in partenza, più a rischio di quanto non fosse preventivabile.

Ma i problemi di Carife non erano limitati solo al modo in cui avvenne l’aumento di capitale: Blandini si sofferma infatti a lungo sulla situazione che trovò in Carife al proprio arrivo, e in particolare al lungo lavoro di riclassificazione dei crediti che mise in pratica. Secondo Blandini infatti per molti anni – anche prima dell’insediamento dell’ultimo cda – Carife aveva concesso crediti senza le necessarie garanzie a tutela della banca. In particolare “basandosi sulle garanzie ipotecarie e non sulla reale solvibilità dei clienti”. Quindi accettando come garanzie non tanto redditi e bilanci dei soggetti a cui dava soldi, ma i beni immobiliari in loro possesso. Beni che poi, quando il cliente in questione si dimostrava insolvente, difficilmente potevano rendere sul mercato immobiliare quel valore nominale per cui erano stati concessi in garanzia.

La bassa qualità dei crediti è secondo Blandini una delle “concause” che ha determinato il dissesto di Carife. Ma proprio il termine “concausa” sarà probabilmente uno dei concetti che sentiremo ripetere più spesso in questo processo e che avrà più bisogno di essere delineato e chiarito.

Alcune difese chiedono infatti a Blandini “qual è stata l’incidenza della posizione dei nostri clienti nel dissesto di Carife”. La risposta del commissario è la stessa in tutti i casi: “Ogni risorsa che è venuta a mancare dall’aumento di capitale in poi può essere vista come una concausa del dissesto, anche solo un euro in meno”. Come dire che, quando il vaso trabocca, non si può dare la colpa solo a chi ha versato l’ultima goccia.

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