Lettere al Direttore
28 Agosto 2018

La soddisfazione del sindaco di Ferrara

di Redazione | 2 min

Il sant’uomo si compiace, in un’intervista, del centro storico divenuto in soli otto anni “più vivace”. Può ben dirlo. Confermano il successo gli intellettuali etilici del mercoledì sera, autori del fermento olfattivo di vicolo Agucchie (vivace polo notturno urofecale, elegante iniziativa che surclassa le altre città involgarite da wc pubblici).

E può ben dirlo anche per l’attiva partecipazione di intraprendenti spacciatori africani. Poveretti: quando mancano le proficue serate nell’affollata piazza son costretti a tornare nella desolante Gad spopolata dal coprifuoco indotto da percezioni soggettive. Da ciò le esuberanze tribali con spranghe e machete per dimostrare che qui si trovano a proprio agio, ben integrati come fossero a casa loro.

A questo punto, per assecondare “risorse” sia indigene che importate, il sant’uomo potrebbe completare l’opera estendendo il mercoledì sera a tutta la settimana.

Non si può negare che il centro sia rianimato: lo dimostrano le tante saracinesche chiuse sbocciate in bar, pizzerie, pub, birrerie, vinerie, piadinerie, laboratori tattoo e nail (cioè tatuaggerie e cromatizzazioni di unghie, fondamenti della cultura odierna), paccottiglierie varie, ecc. ecc. Bisogna ringraziare l’amministrazione comunale per la sua raffinata strategia di sviluppo.

Mancano solo le moderne “drogherie”. Ma è ovvio che l’imponente domanda giovanile di droghe trovi negli immigrati l’offerta adeguata dato che, essendo più intelligenti dei nativi, comprendono al volo che l’illiceità della vendita è un’idiozia se non comprende pure gli stupidi consumatori del gigantesco mercato; quindi se ne fregano di ridicole legalità con “fogli di via” ed “espulsioni” da Gioco dell’Oca.

Comunque il sindaco può ritenersi soddisfatto. In città era tutt’altra cosa quando si trovavano non meno di quattro utensilerie (rivendite di attrezzatura professionale) a sottrarre spazio utile ai bar. Era il tempo in cui le vie erano occupate da botteghe di falegnami, saldatori, riavvolgitori di motori elettrici, tornitori, sartorie, tipografi, rilegatori, corniciai, mercerie, vendite di legname o metalli, venditori-costruttori di strumenti musicali, venditori di pellami, librai locali, bottegai di quartiere.

Tutte attività corrispondenti a “persone”, non a catene commerciali. Quindi specchio di una comunità arcaica, stoltamente limitata alla rozzezza del “fare quotidiano” invece di perseguire l’arte del buon vivere, cercando l’essenza del mondo in una canna o nel fondo di un bicchiere. Tempi bui, insomma. Privi di esistenzialità. E cialtroni: conservavano perfino l’Arcispedale entro mura e, addirittura, la scandalosa proprietà comunale della rete gas.

Molto meglio l’oggi gestito dal sant’uomo e governato da Hera, con attraenti strade piene di bar.

E baldi migranti che prendono a calci i carabinieri quando li disturbano per controllare i documenti.

Paolo Giardini

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