Attualità
27 Luglio 2018
Dal 2012 Rok Zavbi era attivo in Italia per addestrare aspiranti jihadisti, dopo essersi convertito dal cristianesimo e aver intrapreso una rapida radicalizzazione

Il terrorista espulso era braccio destro dell’Imam del terrore

di Ruggero Veronese | 5 min

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È stato prelevato mercoledì pomeriggio e scortato in aereo a Lubiana, dopo aver trascorso due anni nel carcere di via Arginone per la sua attività jihadista, alla quale aveva dedicato almeno gli ultimi sei anni. La prima traccia delle attività terroristiche di Rok Zavbi risale infatti alla fine del 2012, quando il giovane addestratore sloveno dell’Isis, appena 23enne, trascorre alcune settimane nel bellunese per addestrare due aspiranti terroristi, Ismar Mesinovic e Munifer Kalamareski, che di lì a pochi mesi sarebbero partiti per la Siria. Il 2 dicembre di quell’anno, Ismar si fa recapitare dalla Germania un drone e un visore notturno da portare con sé sui campi di battaglia, su indicazione di Zvabi. Morirà in guerra il 4 gennaio 2014.

Ma con l’addestramento dei due terroristi, Zavbi aveva di fatto avviato le attività dell’Isis in Veneto, puntando soprattutto sulla popolazione musulmana slovena, bosniaca e macedone presente nel nord-est italiano. A inviarlo in Italia era stato il bosniaco Bilal Bosnić, noto anche come ‘l’imam del terrore’, oggi detenuto in Bosnia e tra le figure di più rilievo tra gli estremisti salafiti nei Balcani. Nel 2013, secondo la magistratura di Venezia, in Veneto era attiva una cellula jihadista nata proprio dalle attività di Zavbi e del 39enne Ajhan Veapi.

Nel frattempo il giovane sloveno, laureato in medicina a Lubiana, non si trova più né in Italia né nei Balcani: è a combattere in Siria, dove svolge anche il ruolo di medico da campo. Tornerà un anno dopo, nel settembre 2014 e il mese successivo rilascerà una lunga e dettagliatissima intervista al giornale Mladina sui propri trascorsi e su quanto avvenuto al suo ritorno. Le autorità slovene infatti avevano già messo Zavbi nel mirino e al suo ritorno in patria perquisirono la sua abitazione in cerca di prove di suoi legami con l’Isis. “Stanno cercando informazioni che in realtà non esistono – assicurava l’allora 24enne nell’intervista -. Non c’è nessuno in Slovenia che andrebbe in giro ad addestrare terroristi. Non c’è nessuna cellula religiosa terrorista”.

Durante l’intervista a Mladina, Zavbi nega qualunque contatto con lo Stato Islamico e afferma di aver combattuto insieme ai ribelli anti-Assad dell’Esercito di Liberazione della Siria. Allo stesso tempo però le suo critiche non coinvolgono l’Isis, ma proprio i principali nemici del gruppo terroristico: musulmani sciiti, ebrei e ‘colonialisti’ occidentali. “La differenza tra sunniti e sciiti è enorme – sono le sue parole -. Gli sciiti fanno ciò che è severamente vietato nell’Islam, sono molto simili ai cristiani o agli ebrei. Prendono mediatori a Dio, costruiscono la loro religione. Questa dottrina ha rovinato l’Islam nelle sue stesse fondamenta, non è più l’Islam. Non riconoscono nemmeno il Corano come originale “.

Un’immagine del giovane Rok Zavbi prima della radicalizzazione

E proprio riguardo all’Isis, la ricostruzione storica di Zavbi suona più come una parziale giustificazione che come una critica: “Lo Stato Islamico sunnita, che ha iniziato a dominare il territorio dell’Iraq e della Siria, non è altro che il risultato dell’intervento di forze straniere, in particolare dell’America, nella zona. È stato creato a causa della costante ostilità verso i sunniti. Gli americani lasciarono Hussein, che fu in grado di tenere insieme l’Iraq, e gli sciiti installarono il potere e adottarono leggi che marginalizzarono l’intera popolazione sunnita. È per questo che sono stati formati lo Stato Islamico e molti altri gruppi ribelli e sono iniziati i conflitti. Il Medio Oriente è simile alla Bosnia ed Erzegovina nel 1991. Solo che la Bosnia era un piccolo barile di polvere, e il Medio Oriente è un enorme barile di polvere, dove si svilupperà la Terza Guerra Mondiale. Prima o poi tutti i gruppi ribelli si uniranno. I continui attacchi occidentali ai sunniti torneranno in Occidente come boomerang”.

Leggendo le parole di Zavbi, si può ipotizzare che le sue idee si siano ulteriormente radicalizzate dopo che fu divulgata la notizia (poi smentita dall’Opac) dell’utilizzo di armi chimiche sui civili da parte del regime di Assad. “Abbiamo atteso l’intervento dell’Occidente, ma ero in Siria durante un attacco chimico a Damasco. Tutti avevano promesso che era una linea che Assad non avrebbe dovuto superare. Ma quando è stato lanciato il sarin, non è successo niente”. Zavbi racconta che a quel punto, insieme al suo amico Skubic, avrebbe deciso di abbandonare l’Esercito di Liberazone Siriano e fare ritorno in Slovenia.

La sua determinazione e il suo attaccamento alla causa religiosa sembrano evidenti anche dalla comparazione che lui stesso fa tra i veterani di guerra americani e i foreign fighters musulmani in Medio Oriente. Secondo Zavbi, chi combatte in nome dell’Islam non può soffrire di stress post-traumatico. “I soldati americani tornano a casa e poi si ubriacano, si suicidano. Se guardi i dati muoiono di più a casa che in Iraq. Noi, musulmani, dal punto di vista religioso guardiamo queste cose in modo molto diverso. Se fai qualcosa per un buon fine, non puoi incolparti per questo. Quindi un musulmano non ha alcuna sindrome e nessun altro trauma psicologico, perché può trovare supporto in Dio. Chiediti perché non ci sono ribelli in Iraq o in Siria che soffrono di sindrome post-traumatica”.

Un dettaglio interessante nella storia di Zavbi è la sua conversione all’Islam solo attorno ai vent’anni, perchè prima era cristiano. “Andavo anche in chiesa. Per alcuni aspetti le religioni sono simili, ma sono anche molto diverse. La differenza principale è che nell’Islam, quando preghi, hai una relazione diretta con Dio. Nel cristianesimo, hai agenti. Devi pregare attraverso Gesù, Maria, o attraverso la croce o altre cose”. Una scelta spirituale intima e molto diffusa tra chi si converte all’Islam, ma che nel caso di Zavbi si è intrecciata con giudizi e pregiudizi storici, politici, sociali e con un profondo odio per la nazione di Israele. Un ‘cocktail’ ideologico che ha portato il giovane sloveno ad ignorare tutti i molteplici appelli alla pace presenti nella cultura musulmana e ad abbracciare la causa del fanatismo.

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