Cronaca
4 Luglio 2018
Da quello che sembrava un banale fatto di cronaca a Bondeno è nata l'operazione “Sottobosco” che ha portato a 22 arresti

Dal pianto di una madre i carabinieri sono arrivati agli oligarchi della cocaina

di Daniele Oppo | 5 min

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È partito tutto da una denuncia per degli pneumatici tagliati e dal pianto di una donna. Troppo per un fatto del genere. Ma ci è voluta anche la sensibilità di una carabiniera della stazione di Bondeno, per capire che c’era qualcosa di più. E così, da quello che sembrava un banale fatto di cronaca di provincia, è nata l’operazione “Sottobosco” che ha smantellato l’associazione criminale degli ‘oligarchi’ della cocaina, portando all’arresto di 22 persone di nazionalità marocchina e albanese, componenti di due gruppi separati ma organizzati e collaboranti per la gestione del traffico e dello spaccio all’ingrosso della polvere bianca in Emilia Romagna e in Toscana.

Gli arrestati, 7 kg di coca e 28mila euro sequestrati. In manette, nel corso di una vasta operazione che ha coinvolto 140 carabinieri tre unità cinofile e un elicottero nelle province di Ferrara, Bologna, Modena, Parma Mantova, Brescia, Pisa, Firenze e Agrigento, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga, sono finite 22 persone: Mohamed Jarmouni, marocchino, residente a Bondeno e una delle teste dell’organizzazione – la parte marocchina, appunto, che gestiva l’area ferrarese – insieme agli albanesi Defrim, Enver, Ihaxi e Besnik Dervishi (più Kloadian Alushku), che avevano i contatti con l’Olanda, si occupavano delle aree di Pisa e Firenze e reperivano la droga organizzando i viaggi in Olanda. Erano loro sei il vertice gerarchico, che organizzava le spedizioni e le consegne di cocaina molto pura, e si spartiva i territori in toscana e in Emilia, sconfinando anche in Lombardia.

Con loro sono stati arrestati i collaboratori più stretti: Olsi Iviku, uno dei corrieri e poi Kamal e Redouana El Hannouny,  Mostafa Jarmouni, Abdelkader Lahmine e A Tarik Abouelouaf.

Al livello appena inferiore c’erano gli altri: Shkelzen Cani e Fili Shpetim – che insieme a Alushku gestivano una rete in provincia di Firenze – e poi Arjan Temaj, Festim Hoxha, Hamid El Baroudi, Adil Mihahi, Said Aboussaad, Said e Abdelkrim Jarmouni.

Tutti erano regolari sul territorio nazionale, residenti o domiciliati nei territori dove operavano illecitamente. Alcuni nel gruppo marocchino erano braccianti agricoli, altri, nel gruppo albanese, erano manovali edili.

Durante l’intera attività investigativa, tra 2016 e 2017, sono stati sequestrati oltre 7 chilogrammi di cocaina e, nell’abitazione di uno degli arrestati, 28mila euro in contanti, considerati provento dell’attività di spaccio.

Tutt’ora sono in corso le ricerche per un altro paio di soggetti.

L’antefatto. Tutto è partito da Bondeno dicevamo. Nel 2016, una coppia del luogo si è presentata dai carabinieri per denunciare il danneggiamento della propria autovettura. Una denuncia senza altri dettagli, ma durante la presenza in caserma, ad attirare l’attenzione di una carabiniera è stato il pianto improvviso della donna. Avvicinatasi a lei per capire i motivi della sua strana e profonda inquietudine, ha scoperto l’arcano: erano destinatari di minacce, anche di morte, da parte di chi vendeva la droga al figlio. In un’occasione i militari hanno anche appreso che alcuni spacciatori gli avevano ‘sequestrato’ la carta di circolazione dell’auto, restituita solo dopo che il padre aveva saldato il debito. Da qui, con gli approfondimenti disposti a marzo 2016 dal pm Ciro Alberto Savino della procura di Ferrara, è nata l’indagine “Sottobosco”, che presto si è allargata, coinvolgendo la competenza della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, perché in gioco non c’erano solo semplici spacciatori. “Voglio sottolineare l’importanza della presenza di una stazione dei carabinieri anche nei piccoli centri – osserva il colonnello Desideri -. Il segnale per questa operazione è partito da lì”.

Organizzazione piramidale. In circa due anni di indagini, i carabinieri sono riusciti a individuare e smantellare la rete criminale. Nel Ferrarese, con sede operativa a Bondeno, il re incontrastato era Mohamed Jarmouni: era lui ad avere personalmente i contatti con i Dervishi, gli albanesi ‘toscani’, in un sodalizio che, usando le parole del colonnello Andrea Desideri, a capo del comando provinciale dei carabinieri di Ferrara, “dominava il mercato dell’Emilia Romagna e della Toscana nelle province in cui operava”. Un rapporto “consolidato per il comune accordo di voler gestire in modo oligarchico” il mercato il traffico di cocaina, occupandosi a monte della fornitura all’ingrosso, e probabilmente a “utilizzando giovani ragazzi per lo spaccio nei locali della Versilia e dei Lidi Ferraresi” a valle.

I viaggi in Olanda, destinazione Ferrara. I carabinieri sono riusciti a documentare tutto, compresa la fornitura di droga dall’Olanda: i corrieri si recavano ad Amsterdam con auto modificate appositamente per il carico di droga. Ogni viaggio, circa due al mese di media, comportava l’acquisto di un chilo, un chilo e mezzo di cocaina pura al 97-98%, pagata meno di 35mila euro e smerciata al dettaglio, dopo essere stata tagliata, tra gli 80 e i 120 euro al grammo. Secondo i carabinieri, da un chilogrammo di coca pura, se ben “tagliata”, potevano ricavare quattro chili e mezzo di droga per lo spaccio al minuto, potendo ricavare tra i 360mila e i 540mila euro circa a partita.

La droga, dopo essere stata presa in Olanda veniva poi portata nel Ferrarese, dove veniva distribuita ai grossisti locali per lo spaccio, soprattutto nei Lidi di Comacchio, oppure a Pisa da dove poi ripartiva per le altre destinazioni sia della Toscana (in Versilia in particolare), dell’Emilia Romagna che della Lombardia.

Ben conoscevano la nostre strade e le arterie principali”, sottolinea il colonnello Desideri, che aggiunge: “Spesso avvenivano incontri in provincia di Ferrara, a Bondeno o in altre località”.

L’uso della violenza per intimidire i debitori. La banda, come evidenziato proprio dal caso bondenese, “usava spesso violenza nei confronti di spacciatori e assuntori”. Alcune intercettazioni tra i membri della banda evidenziano come, pur di ricevere il denaro loro spettante, non si facessero problemi anche a pensare al rapimento di un bambino, o usare attrezzi per picchiare i debitori.

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