Scienza e tecnologia
2 Luglio 2018

Hard Disk vulnerabili agli ultrasuoni

di Redazione | 3 min

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Secondo un team di studiosi dell’Università del Michigan, gli ultrasuoni possono essere sfruttati per neutralizzare le misure di sicurezza e di difesa che vengono adottate dagli hard disk, i quali potrebbero subire danni da vibrazioni sonore. Se è vero che un suono particolarmente acuto è in grado di favorire la rottura di un vetro, perché lo stesso fenomeno non si potrebbe ripetere con altri materiali? Questa è la logica alla base dell’indagine che è stata condotta dai ricercatori americani: dopo che si è scoperto che alcune onde sonore sono capaci di rendere un hard disk non più utilizzabile, insomma, ci si è dedicati allo studio di altre possibili conseguenze.

Gli effetti dei suoni sugli hard disk

Una volta superati i 120 decibel, alcuni suoni a specifiche frequenze hanno la capacità di dare vita, sui piatti che fanno parte degli hard disk, a un effetto di risonanza che causa la corruzione dei dati e che ha dirette conseguenze sui dischi stessi, che risultano compromessi. Per comprendere la portata di questa scoperta, è necessario prendere coscienza del fatto che il Recupero da Hard Disk danneggiati dei dati è particolarmente complesso e demandato a strutture dotate di camera bianca. Già da tempo gli esperti del settore erano consci dell’esistenza di un problema del genere, ma adesso si è accertato che per mettere al tappeto – in senso metaforico – gli hard disk magnetomeccanici è possibile utilizzare anche gli ultrasuoni. La novità è stata resa nota in occasione della 39esima conferenza organizzata, in tema di privacy e sicurezza, dall’IEEE, l’Institute of Electrical and Electronics Engineers, a cui sono intervenuti i ricercatori dell’ateneo del Michigan.

Suoni udibili e suoni non udibili

Uno di loro, Connor Bolton, ha presentato un attacco che è stato denominato Blue Note, e che si basa su un mix di frequenze che non possono essere rilevate dall’orecchio umano e suoni che, invece, siamo in grado di percepire. Il suono udibile, in particolare, fa in modo che le testine e i piatti degli hard disk comincino a vibrare; diversa è la reazione che si innesca nel momento in cui vengono prodotti gli ultrasuoni, che è come se traessero in inganno i sensori installati sugli hard disk che hanno il compito di favorire l’arresto momentaneo, in situazioni di emergenza, delle operazioni di scrittura e di lettura.

Il responso degli studiosi

I ricercatori hanno messo in evidenza che un attacco combinato di questo genere fa in modo che il disco fisso non abbia la possibilità di adottare le contromisure che metterebbe in atto di solito in corrispondenza dell’inizio di una vibrazione; il disco, proprio per questo motivo, si espone all’aggressione, e non può che risultarne danneggiato in modo irrimediabile e irreparabile.

Le conseguenze

Quali sono le conseguenze più dirette di questa scoperta? I dischi fissi sono utilizzati di frequente per gli impianti di videosorveglianza: è evidente, quindi, che una aggressione simile a quella messa in atto dal Blue Note ha la capacità potenziale di non far più funzionare le videocamere di sicurezza di un sistema di protezione, prevenendo le consuete attività di registrazione. Per ridurre o neutralizzare la possibilità di corruzione dei dati, secondo Bolton, ci si potrebbe affidare a un aggiornamento del firmware su tutti i prodotti che vengono impiegati per memorizzare i dati che si basano su piatti e parti mobili con rivestimento in materiale ferromagnetico.

Gli effetti degli ultrasuoni

Vale la pena di precisare che attacchi come quello apportato dal Blue Note non hanno effetti nei confronti delle SSD, cioè le unità a stato solido. Non è la prima volta, comunque, che gli ultrasuoni si dimostrano pericolosi in ambito informatico: era già accaduto per gli assistenti digitali come Cortana di Microsoft, Siri di Apple, Alexa di Amazon o Google Assistant di Google, che venivano tratti in inganno da specifiche frequenze.

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