Attualità
30 Giugno 2018
Lo storico locale di via Saraceno saluta la città e i suoi clienti. “Non c’è stato un cambio generazionale”, ma la crisi influisce

Ultimo giorno per il Bar Continental, 47 anni di storia e caffè

di Redazione | 4 min

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di Cecilia Gallotta

Ultima giornata per il bar Continental, che fra le mura di via Saraceno 2 ha scritto 47 anni di storia della pasticceria ferrarese e non solo. Clienti storici, novelli e di passaggio, hanno salutato numerosi la calorosa gestione di Paola Cocchi, assieme a papà Luigi e mamma Graziella, che sabato mattina hanno servito gli ultimi caffè, rigorosamente in divisa, tra il tintinnio un po’ malinconico di piatti e tazzine e il profumo delle ultime brioches.

Ci racconti la storia del locale, che sarà anche un po’ quella della famiglia.

I miei genitori, mio zio e mio nonno aprirono nel ’71. Mio papà dovette lasciare il suo lavoro alla Berco e gestì per due anni il bar delle Poste Centrali, il circolo dei dipendenti insomma, e quella fu per lui una buona palestra prima di aprire il Continental: c’era gente che rimaneva fino a sera tardi, anche solo a giocare a carte, e c’erano i turni dei lavoratori alla mattina presto, quindi pochissime ore di riposo. Ma il bar Continental portava già questo nome prima che entrassimo noi, ed era gestito dal fratello di Claudio De Pestel, titolare invece dell’Europa. Prima ancora, negli anni Cinquanta, si chiamava ‘Da Enzo’: alcuni clienti storici si ricordano ancora di quando c’era lui.

A cosa è dovuta la chiusura di oggi?

All’interno della nostra famiglia non c’è stato un cambio generazionale, io non ho avuto figli e di conseguenza nessuno che continuasse spontaneamente l’attività così come lo è stato per noi. E’ il destino delle gestioni di questo tipo, che vanno avanti imparando il mestiere fin da piccoli come è stato per me. Non è quel genere di marchio che compra un tizio dal nome grosso e ci mette qualcuno alla direzione, se succedesse sarebbe una mosca bianca in una realtà come quella ferrarese.

Quindi non si può dire che sia colpa della crisi?

La crisi ha dato il suo contributo, nel nostro caso sono state un insieme di concomitanze. Abbiamo avuto due accertamenti da parte dell’agenzia delle entrate, a seguito dei quali abbiamo vinto due ricorsi, ma ci hanno sfiancato. Perché anche quando vinci, non vinci mai senza il peso, il magone, le energie sommerse, anche dalle spese legali. Poi abbiamo seguito l’auspicio dell’agenzia delle entrate, quello di un taglio sul personale, soprattutto in pasticceria, che in un locale storico, con clientela abitudinaria, ha avuto il suo peso. Inoltre, il canone della proprietà dagli anni Ottanta è aumentato di cinque volte rispetto a quant’era prima.

Si può dire che la clientela rappresenta lo specchio della città? Cosa è cambiato negli anni? E come si è distinto il vostro locale?

Nei nostri primi anni di apertura le pasticcerie di qualità si contavano sulle dita di una mano ed eravamo tutte in centro. Erano gli anni d’oro di Bida e di pochi altri. E i clienti erano storici. Poi le cose sono cambiate, la quotidianità della gente, i frequenti spostamenti in macchina, le aperture in periferia eccetera. Tra gli anni Ottanta e Novanta abbiamo fatto decine di servizi catering a centinaia di cerimonie. Poi è subentrata un po’ di stanchezza e abbiamo sostituito quel ramo con l’enoteca, più da asporto che da somministrazione. Per molte cose noi abbiamo fatto da apripista, come la sensibilità di un bicchiere di vino di qualità all’aperitivo invece della solita bevanda piena di coloranti, che anni fa andava per la maggiore. Però poi nel tempo è difficile reinventarsi all’infinito.

Cosa ne sarà del locale?

Sono tanti anni che cerchiamo di vendere l’attività, e abbiamo prima preso la decisione di chiudere. Ma i tempi tecnici perché qualcuno la rilevi ci sono. Nel caso non riuscissimo a vendere, speriamo comunque di uscire dalla proprietà nel modo meno doloroso possibile economicamente.

Lasciare così tanti anni di attività alle spalle non dev’essere facile…

Se ci fosse modo di conteggiare le ore che ho passato qui invece che a casa mia, non saprei dire se è valsa la pena aver comprato una casa [ride]. Potevo tranquillamente prendere una stanza d’albergo. In ogni lampada, in ogni oggetto, c’è rimasto molto più impresso che a casa mia.

E la reazione dei clienti com’è stata?

I clienti un po’ piangono, un po’ vogliono festeggiare. Ma adesso che è ancora tuto in alto mare, che non abbiamo venduto e non sappiamo cosa succederà, non ci sono esattamente le condizioni di un festeggiamento. Quindi abbiamo fatto un’ultima giornata così, come tutte. Ma per accontentare i clienti più calorosi, abbiamo pensato ad un ultimo ritrovo domani mattina (domenica), all’insaputa dei miei genitori. Per un abbraccio di gruppo, un momento di affetto. Sperando in un futuro ‘continental’.

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