Attualità
24 Giugno 2018
Il progetto aveva ottenuto 195mila euro, ma sono stati finanziati solo gli eventi e non il brand identificativo. Comune e Confesercenti: "Non ha funzionato"

Felicity, il flop del marchio per il commercio in centro

di Elisa Fornasini | 3 min

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Felicity, Ferrara Sense the city, Ferrara Terra e Acqua, Vacanze Cultura Natura e ora anche Ferrara feeling. Che siano veri e propri brand o semplici campagne promozionali a spot, è una giungla di nomi roboanti in cui è facile perdersi. Il lancio dell’ultimo marchio turistico che rivoluzionerà i musei civici di Ferrara è lo spunto per fare il punto – o meglio, per ufficializzare la decaduta – della tanto declamata Felicity.

Presentato in pompa magna nel 2014, il progetto mirava a identificare il centro storico come centro commerciale naturale. Un obiettivo ambizioso che si è rivelato un flop. Finanziato con 195mila euro – 150mila dalla Regione Emilia Romagna nell’ambito della legge regionale 41/1997 per le ‘azioni di incremento attrattività del centro urbano’ e i restanti 45mila dall’amministrazione comunale – è finito per essere una mera cassa per finanziare eventi commerciali in piazza.

Nulla a che vedere, almeno nella pratica, con la “creazione di un marchio che contraddistinguerà in futuro le attività, le iniziative, gli eventi, i luoghi, i prodotti e i servizi del centro storico di Ferrara, che sono espressione di una strategia di valorizzazione integrata dell’area, condivisa, concertata e partecipata tra operatori pubblici e privati per rafforzarne l’immagine, la riconoscibilità e l’attrattività” come si leggeva nella presentazione ufficiale del Comune di Ferrara, in collaborazione con Ascom e Confesercenti.

Il logo, realizzato dall’agenzia di comunicazione Le immagini, doveva essere accompagnato da un sito internet (definito una “piattaforma multiservizi a disposizione dei commercianti”) e una pagina Facebook, realizzati dallo studio Dinamica Media. Il sito è sparito, la parte social conta meno di cento ‘mi piace’, e allora viene naturale chiedersi come siano stati spesi i contributi pubblici per questi strumenti promozionali ‘fantasma’ nel giro di pochi anni.

Lo abbiamo chiesto all’amministrazione, a un’associazione di categoria e a un noto imprenditore del centro. “Il brand non ha attecchito, era un marchio scelto da imprenditori privati ma sono stati loro per primi a non averlo mai usato” è il rimpallo di responsabilità del vicesindaco Massimo Maisto.

“Non ha avuto seguito, il progetto finanziato dalla Regione è partito ma poi è finito nel dimenticatoio – conferma Alessandro Osti, direttore Confesercenti -. Se il test non ha funzionato, è perché proliferano troppi marchi che è difficile far vivere: sono pochi quelli che resistono e riescono a farlo quando non sono collegati solo agli eventi. Noi comunque abbiamo utilizzato il brand per i nostri eventi per un anno, poi sono stati finanziati sondaggi e attrezzature per misurare il flusso di visitatori”.

In effetti il progetto – oltre al logo, al sito e alla pagina Facebook – comprendeva anche quattro momenti informativi e due indagini di mercato. Ma il suo fulcro – se non in termini economici, almeno strategici – sarebbe dovuto essere proprio il logo identificativo.

“Il marchio Felicity è naufragato nel suo senso di trampolino di lancio per pubblicizzare gli eventi – spiega l’imprenditore Matteo Musacci che ha dato il suo contributo come ‘giurato’ nella scelta del brand commerciale – ma tutti i soldi sono rendicontanti. Sono state finanziate le telecamere in via Bersaglieri del Po per monitorare il flusso di visitatori, le interviste a turisti e ferraresi per raccogliere valutazioni e soprattutto due anni di eventi come negozi aperti, mostra Diamanti, quadri in vetrina e un’edizione di Ferrara in Fiaba che così non hanno gravato come sempre sulle spalle dei commercianti”. Ecco qual è la città della felicità.

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