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25 Maggio 2018
Il Museo del Settecento Veneziano di Ca’ Rezzonico celebra l'artista con una mostra aperta fino al 3 settembre

Gli studi di nudo di Giulia Lama

di Paola Forlani | 5 min

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“Giulia Lama veneziana, vivente fra gl’Arcadi Lisalba molto

erudita nelle filosofie, ed assai valorosa Pittrice, cosicchè le

principali Chiese cercano avere delle opere sue, ed in

particolar qualche Palla, nella cui maniera di dipingere

acquistassi ella grandissimo onore”.

Luisa Bergalli, Componimenti poetici, delle più illustri

Ricamatrici d’ogni secolo, Venezia 1726

 

A Venezia, nella prima metà del Settecento, oltre a Rosalba Carriera viveva un’altra pittrice di primo piano, purtroppo del tutto ignorata fuori dalla sua patria: Giulia Lama (1681 – 1747). Il Museo del Settecento Veneziano di Ca’ Rezzonico celebra questa figura con la presentazione di 12 splendidi studi di nudo realizzati dall’artista, parte di una più ampia raccolta di sue opere grafiche, appartenenti al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo Correr, a cura di Vittoria Surian, Daniele D’Anza e Alberto Craievich, aperta fino al 3 settembre 2018.

Figlia d’arte – suo padre, Agostino, era pittore lui stesso oltre che mercante d’arte e perito – a dispetto delle sue colleghe impegnate nella produzione di generi “femminili” come il ritratto o la miniatura, Giulia Lama si cimentò nella pittura di storia, con grandi composizioni affollate, ricevendo diverse commissioni ecclesiastiche (in particolare le pale d’altare per le Chiese di Santa Maria Formosa e di San Vidal) e suscitando evidentemente invidia e maldicenze tra colleghi maschi, tanto da far scrivere all’abate Antonio Conti: “la povera donna è perseguitata dai pittori ma la sua virtù trionfa sui suoi nemici”.

La sua estetica, lontana da visioni prettamente decorative o intrise di calda sensualità, si qualifica nelle raffigurazioni dal forte risalto plastico ed espressivo, violente nella loro gestualità e nell’uso del colore, in sintonia con quanto diffuso in quegli anni a Venezia da Giambattista Piazzetta.

Questi peraltro – uno dei pochi colleghi che le dimostrarono sincero apprezzamento – ci ha lasciato uno straordinario ritratto della pittrice, che compie la sua esistenza interamente nella parrocchia di Santa Maria Formosa senza mai lasciare Venezia, e che pare essere stata non bella d’aspetto, ma dal temperamento forte seppure malinconico.

Dallo studio dei documenti d’archivio, Giulia riemerge come artista poliedrica e donna raffinata e istruita, avendo ricevuto un’educazione scientifico umanistica di tutto rispetto.

La giovane Lama studiò infatti matematica con il padre domenicano Tommaso Pio Maffei – colui che “aveva insegnato matematica e la politica ai soggetti più illustri del nostro Paese” – e frequentò il circolo scientifico umanistico che a Venezia si era raccolto a casa Doro “medico di gran fama”, ove si alternavano esperimenti e dissertazioni scientifiche a discussioni letterarie.

Da qui forte passione anche per la poesia – tanto che nel 1726 Luisa Bargelli, futura moglie di Gasparo Gozzi, inserì alcuni sonetti e canzoni della pittrice tra

“I componimenti poetici delle più illustri ricamatrici d’ogni secolo”.

Dunque pittrice e poetessa a pieno titolo – entrambe espressioni di un suo sentire esistenziale infelice, per le delusioni amorose e i tormenti dell’anima – ma anche merlettaia, attività che le garantì in effetti il sostentamento.

Il disegno del nudo, almeno dal Rinascimento, è alla base della formazione di un artista. Con la nascita delle accademie d’arte, lo studio della figura umana dal vivo diventa istituzionale: è la materia d’insegnamento più importante e su di essa si basa la ragione d’essere scuola. A Venezia l’Accademia viene fondata tardi, ultima fra le capitali artistiche italiane, tuttavia, la presenza di spazi estremamente dedicati a questa pratica è documentata in città almeno dalla metà del Seicento.

Testimonianza visiva, in presa diretta, di una scuola di nudo nella Venezia del Settecento è lo straordinario disegno di un giovanissimo Giambattista Tiepolo (collezione privata).

Com’è logico aspettarsi, fra gli artisti non compare nessuna donna. Eppure in quelle sedute, forse, almeno una c’è stata, qualora sia da riconoscersi nel disegno la sala di posa dell’atelier di Piazzetta.

Il suo nome è Giulia Lama, figlia a sua volta di un pittore, Agostino, ma riconosciuta sempre come “scolara di Piacetta” secondo quanto recita l’iscrizione apposta in calce a un suo disegno conservato al British Museum di Londra.

Molti disegni eseguiti nell’accademia di Piazzetta ci sono giunti in fondi omogenei, acquistati nel 1935 dal Comune di Venezia e oggi custoditi nel Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr. Tra essi si trovano i disegni di Giulia Lama. Proprio la presenza di disegni della pittrice sono un indizio della sua partecipazione alle sedute di copia dal modello immortalate da Tiepolo.

Il gruppo del Correr comprende dodici fogli, tutti raffiguranti studi di nudo. Sono stati assegnati alla pittrice da Ugo Ruggeri (1973) e da allora l’attribuzione non è mai stata messa in dubbio. I disegni sono eseguiti a gesso nero e rosso con lumeggiature di gesso bianco. Sul verso di alcuni troviamo studi anatomici o, in un caso, una figura panneggiata in preghiera. Il supporto è la tipica carta ruvida e spessa impiegata dai pittori veneziani per questo genere di studi. In alcuni casi è stata trattata con acquarello, così da rendere il fondo più uniforme e far risaltare i gessi impiegati per eseguire i disegni. Tutti i fogli, oltre ai segni dell’usura del tempo, rivelano bordi sfibrati, strappati, piegature irregolari, sbavature di colore e macchie. Ci conducono dentro la quotidianità del mestiere di pittore.

Sono fra le cose più belle che lei abbia realizzato.

I fogli di Giulia Lama sono ben riconoscibili. Come in Piazzetta, il disegno non definisce in modo lineare, analitico, le anatomie, ma mira a raggiungere la plasticità delle forme attraverso il contrasto fra luce e ombra. La pittrice esaspera questo modo di lavorare. Il segno del gesso è incisivo, a tratti grossolano, mentre il chiaroscuro è particolarmente violento, realizzato con ombre nette, senza passaggi intermedi e sfumature, come se la pittrice non fosse in grado di ammortizzare la propria foga.

Rodolfo Pallucchini, l’artefice della riscoperta moderna della pittrice nel 1933, scrive:

“Negare la validità della sua espressione pittorica, che è all’unisono di quella poetica, in base al procedimento accademico del bel disegno, come si è fatto nel Settecento e si è continuato a fare nei tempi nostri, significa non comprendere, anzi escludere dalla storia, una delle personalità più avvincenti e drammatiche del Settecento veneziano: la sua inquietudine semmai è sintomo dei tempi che verranno, e non a Venezia soltanto”.

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