Cronaca
23 Maggio 2018
Pene per un totale di 5 anni 4 mesi ma assoluzione di fatto per la truffa da 2 milioni allo Stato

Raggirò i clienti, condannato il commercialista Schincaglia

di Daniele Oppo | 3 min

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In tutto, la somma delle pene arriva a 5 anni e 4 mesi di reclusione per il commercialista Riccardo Schincaglia, a processo per truffa ai danni di 31 clienti, appropriazione indebita e frode allo Stato. Ma, nonostante ciò, può dirsi soddisfatto: di fatto è stato assolto dall’accusa più importante, quella di una truffa ai danni dello Stato per oltre 2 milioni di euro.

Il relativo capo d’imputazione è infatti stato riqualificato dal giudice in un reato tributario e in appropriazione indebita, ma Schincaglia è stato condannato solo in merito alla posizione di una delle parti lese: 1 mese di reclusione e 100 euro di multa. Non è un caso che il suo legale, l’avvocato Alberto Bova, veda più di un elemento positivo pur davanti alle condanne: “C’è soddisfazione per l’assoluzione per il reato più grave. Per il resto dimostreremo in appello l’estraneità ai fatti”.

Il capo 1, ovvero l’appropriazione indebita di circa 500mila euro dei suoi clienti – coi quali avrebbe dovuto pagare gli F24 -, gli è valso una condanna a 1 anno e 9 mesi, peraltro limitatamente a una decina di parti lese (su 31 totali, una ventina di queste costituitesi parte civile), a cui si aggiungono altri 6 mesi per 70mila euro di compensazioni inesistenti segnate a un altro cliente. La condanna più pesante è arrivata per il reato forse meno ‘odioso’, il capo 3, ovvero aver occultato i libri contabili di una sua società, la Eta Beta, in modo da impedire di rilevare il volume d’affari: 3 anni di reclusione.

Oltre a ciò, il giudice Debora Landolfi ha pronunciato anche una raffica di pene accessorie: interdizione perpetua dall’ufficio di componente della commissione tributaria; interdizione per 5 anni dai pubblici uffici; interdizione dalla professione di commercialista per 3 anni; interdizione da uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; interdizione dalla funzione di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per 2 anni.

Poi ci sono 1500 euro totali di multa e risarcimento del danno con provvisionali da 2mila euro, oltre alla condanna alle spese legali.

Altri capi d’imputazione (o porzioni di essi) sono invece stati estinti dalla prescrizione o non sono più previsti dalla legge come reato.

Il pubblico ministero – in udienza il vpo Elisa Bovi – aveva chiesto la condanna a 8 anni di reclusione.

“Mi riservo di leggere le motivazioni per capire se ci sono spiragli in appello e capire qual è l’argomentazione che ha portato all’assoluzione per alcuni capi d’imputazione”, commenta l’avvocato Saverio Stano, legale di alcune parti civili, alcune delle quali non hanno ricevuto soddisfazione dalla sentenza. “Una piccola vittoria l’ho avuta – aggiunge – per la posizione di un assistito che fu inizialmente coimputato con Schincaglia, poi archiviato, e subì un processo per false fatturazioni ma venne assolto”.

Durante la sua arringa, l’avvocato Bova, difensore di Schincaglia, aveva rigettato molte delle accuse contro il suo assistito sostenendo che “non è stato dimostrato che queste persone abbiano consegnato le somme per pagare le tasse. Tutti gli F24 compensati venivano restituiti agli interessati che li portavano poi a chi redigeva le buste paga. Ne discende logicamente che tutte queste somme erano state date a Schincaglia con il consenso e con la consapevolezza di non pagare le tasse. Tant’è che tutti ora stanno pagando le tasse con sanzioni annesse: ovvio quindi che erano compartecipi della decisione”.

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