Attualità
17 Maggio 2018
Il vescovo emerito ha presentato il suo ultimo libro, 'La sfida, un viaggio nella fede da Giussani a Ratzinger'

Negri: “Noi abbiamo lottato perché la fede diventasse cultura”

di Redazione | 7 min

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Lo si potrebbe almeno in parte considerare un attacco, comunque svogliato, borghese e senz’armi, a ciò che è diventata la Chiesa cattolica moderna quello andato in scena in una Camera di Commercio strapiena di cittadini comuni come di esponenti del gotha ferrarese per la presentazione del nuovo libro del vescovo emerito di Ferrara Luigi Negri scritto a quattro mani con il giornalista Giampiero Beltotto, ‘La sfida, un viaggio nella fede da Giussani a Ratzinger’.

A Beltotto e alla firma del Foglio Camillo Langone toccano le disamine sulla Chiesa attuale, Negri arriva e saluta solo pochi conoscenti poi si siede nella prima fila della sala conferenze, centralissimo, tutto a sinistra dell’ala destra delle poltroncine dove rimarrà in silenzio per quasi un’ora in attesa di poter fare il suo intervento. Chissà se a quest’ora l’aveva già in mente o se si è servito degli altri interventi per metterlo più a fuoco.

La discussione sul libro sarà solo il preludio carico di incognite prima che possa parlare, ma comunque può cominciare e così Negri è subito “merce rara, che non fanno parlare tanto in giro”, come esordisce Beltotto che spiega di essere andato da lui perché “avevo bisogno di mettere in chiaro il mio rapporto con Gesù perché c’è poca roba e volevo bere dell’acqua buona, quella del sindaco”.

“Non c’è niente che mi costringa a rimanere da una parte che mi vuole luterano, io non morirò luterano”, continua Beltotto usando anche aneddoti personali: “Da piccolo mi dissi ‘non farò il luterano né il massone’ nonostante mi sarebbe convenuto”. Su Cl invece non parla “perché uso il vecchio consiglio che se non hai nulla di buono da dire su qualcosa o qualcuno è meglio tacere, ma per me è stata una scuola di vita, di fede e militanza che mi ha insegnato a stare nel mondo senza tradire, ed è stata l’eredità più importante” anche se la militanza “con l’età si è imborghesita”, un concetto che con la traslazione all’Islam viene ancora più chiaro sebbene polemico: “Non dobbiamo stupirci che ci siano musulmani pronti a farsi saltare in aria per la religione quanto chiederci quanti siano i cattolici pronti a farsi saltare in aria per la loro”.

Concetti similari a quelli espressi da Langone che da cattolico militante si è trasformato in “cattolico praticante, vado a messa la domenica, il minimo della pena”. “C’è questa sensazione di evaporazione del cristianesimo”, aggiunge, “e il libro ricorda come l’inizio di tutto non sia di ieri ma dell’altro ieri. Dagli anni settanta si può dire che la scuola cattolica non sia più cattolica. Ho un’amica che doveva iscrivere la figlia all’asilo ed è andata dalle suore per vedere l’ambiente e ha chiesto ‘Ma fate recitare le preghiere?’ e le hanno risposto ‘No, assolutamente’. Non ho la vocazione dell’ultimo giapponese nella giungla, quando sento queste cose non ho voglia di difendere la scuola cattolica. Oggi è solo il precipitare di una situazione vecchia, cose che c’erano già negli anni del concilio. Il dato di fatto è che il cattolicesimo sta scivolando nel luteranesimo”. E ancora: “L’idea è che i movimenti cristiani non contano più niente. Il cristianesimo nella vita politica italiana non esiste per nulla”.

Alla fine tocca a Negri. Lui si alza e raggiunge il palco, gli fanno posto ma raccatta il microfono a lui più vicino all’estremità del tavolo dei relatori. “Faccio due o tre osservazioni”, esordisce. Basteranno, dal momento che con sufficiente chiarezza da essere capito da un laico vuole dare una visione del suo passato a Ferrara della sua azione a capo della diocesi oltre a lanciare l’accusa di essere stato relegato a un passato oscuro. “La prima: l’intelligenza dell’uomo è tale solo se ha il senso della storia. La coscienza della realtà non è una coscienza puntuale, è sempre la coscienza del cammino che porta fino ad oggi e che si protende sul futuro. Perciò il paradiso in Terra non c’è. C’è la Chiesa che lo proclama, lo annunzia, lo attende. Il paradiso non è Negri ma neanche il suo successore. Non sono neanche quelli che verranno dopo. Il vero problema è di non assolutizzare il momento ma di viverlo nel suo cammino. Quello che io ho sentito con un po’ di disagio dopo aver lasciato Ferrara è che sembrava che il passato non esistesse più. O esistesse per dire ‘per fortuna adesso c’è una cosa nuova, quello di prima non valeva niente’. È sbagliato, è una meschinità intellettuale, e la meschinità è il grande nemico della cultura e della civiltà. Dobbiamo accettare di camminare con il nostro tempo e di vedere come da un momento si passa all’altro senza che il passato finisca e senza che il futuro sia già presente. Io credo che si corra il rischio di quel provincialismo becero che corre a esaltare il presente e per sentirsi ancora di più nel presente si deve dire che il passato non valeva niente”.

“Io sono stato un vescovo mediocre, sono rimasto poco tempo e in quattro anni si fa poco ma in una città come Ferrara fare delle scelte essenziali”, aggiunge, e lui è ripartito “dai fondamentali, e ce n’era uno, per cui ho vissuto e sarei morto: che la fede vale più della vita. La fede è il senso della vita, dà senso al presente e spalanca al futuro, radicandoci nel passato senza nessuna ideologia e nessuna esaltazione. Non è che per essere fedeli al vescovo di oggi bisogna dire che quello di ieri era un fesso, scendendo, perché alla fine si trova San Pietro, e voglio vedere chi ha la faccia di dire che San Pietro era un cretino”.

“La seconda cosa”, per monsignor Negri, “è qual è il senso profondo della mia testimonianza di fede. Io posso dire sicuramente che Dio ha costruito per me una vita straordinaria che certamente non meritavo. Il punto di oggi è che, se la fede non diventa cultura, non è stata realmente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata. Se una fede non diventa concezione della vita, concezione dei rapporti, modi di intendere il rapporto con l’uomo e con la donna, modo di pensare alla propria professione e di viverla… Ecco, la fede mi è stata comunicata così e l’ho vissuta così, come la forma della mia esistenza. Ha ragione chi ha citato Giussani che diceva ‘i cristiani non sono i più buoni e non sono i più santi’, che non voleva dire fate i manigoldi, voleva dire che la priorità era un’altra. La priorità era amare la presenza di Cristo più di se stessi, e da lì sarebbe venuto tutto il resto. Mentre se vediamo il resto prima della fede, perdiamo anche la fede”. Se la prende poi con la ‘gnosticizzazione’ della fede che aveva visto “fin da quando ero ragazzo”, con la fede “messaggio da interpretare da parte dei filosofi, dei teologi e degli esperti” rendendo perciò la fede aristocratica e lontana dal popolo.

Tocca poi alla stoccata finale: “Noi abbiamo lottato perché la fede diventasse cultura, perché se diventava cultura se ne poteva riappropriare il popolo. La fede che diventa cultura non è neanche solo per i credenti, è per il popolo. Per questo ridursi a una presenza assente con queste assenze, queste giravolte verbali, questi ‘siamo presenti, non siamo presenti, siamo presenti ma silenziosamente, siamo presenti ma senza dare giudizi’. Se uno non parla non esiste. Credo di aver parlato fin troppo ma per testimoniare a tutti che la vita è l’incontro con una realtà che ci cambia l’esistenza. E questa è l’eredità che desidererei che passasse a quelli che vengono dopo, ad esempio il clero che oggi è presente al massimo livello. Al nostro clero mi interesserebbe fare questa domanda: ma perché per essere fedeli a quello che è arrivato adesso come adesso bisogna dire che prima c’era un coglione? Che non è vero, oggettivamente. Questo è un modo meschino di argomentare l’esistenza che poi lo si paga, perché gli altri faranno a loro ciò che loro hanno fatto agli altri. La storia è implacabile, non c’è nessuno che abbia fatto ingiustizie alla storia che non venga punito dalla storia. Sono arrivato a un’età tale da poter dire che per ora non mi ha punito e spero che non perda gli ultimi anni della sua vita a punire me. Ha molte altre cose da fare, forse ha tanti altri da punire che forse meritano più di me”.

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