Comacchio
3 Maggio 2018
L'allarme di Legambiente: fauna autoctona a rischio a causa di questa specie invasiva di predatori onnivori

Ibis sacro, “una grave minaccia per il Delta”

di Redazione | 3 min

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Gli ibis sacri sono una “seria minaccia” per la fauna autoctona del Delta del Po. A lanciare l’allarme sulla presenza invasiva di questo uccello di palude, caratterizzato da un piumaggio bianco e zampe, becco e coda neri, è Legambiente che non ‘venera’ questo volatile come facevano nell’antico Egitto perché sa bene i rischi che provoca sulle altre specie di uccelli e non solo.

Gli ibis sacri, il cui nome scientifico è Threskiornis aethiopicus, sono infatti predatori onnivori: si nutrono di anfibi, crostacei, piccoli roditori, molluschi, pesci, lombrichi, insetti nonché uova e pulcini di altre specie di uccelli nativi come sterne, garzette, anatre, uccelli marini e uccelli di palude.

Introdotta localmente per fini ornamentali (parchi e giardini zoologici), questa specie si è poi naturalizzata a seguito di fughe o rilasci. Tanto da essere considerato una specie aliena invasiva che causa grossi problemi. Per questo motivo, è stato inserito nella lista delle specie invasive di rilevanza unionale, che ha introdotto l’obbligo di controllo per tutti i Paesi europei, compreso il nostro.

La diffusione dell’Ibis sacro e di altre specie invasive nonché le problematiche connesse alla delicata convivenza tra uomo e specie autoctone sono state oggetto del convegno “La gestione delle problematiche legate alle specie invasive nel territorio del Delta”, che si è svolto il 1° maggio a Comacchio in occasione della Fiera Internazionale del Birdwatching.

Complessivamente, nell’area del Delta del Po ne sono stati marcati 74 (39 nidiacei e 35 soggetti volanti) in cinque diverse località. I primi sei nidiacei inanellati in Italia sono ibridi interspecifici con spatola africana (Platalea alba). La maggior parte delle osservazioni sono state effettuate a breve distanza dalla colonia di origine ma non mancano osservazioni di medio raggio (150 km) e di spostamenti di oltre 400 km dalla costa adriatica a quella tirrenica laziale.

“In Italia è entrato da poco in vigore il decreto legislativo 230, che adegua il nostro sistema al regolamento europeo 1143 sulle specie invasive, e descrive nel dettaglio ruoli e responsabilità – ha spiegato Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel corso del suo intervento -. L’Ispra ha un ruolo chiave nell’applicazione delle nuove prescrizioni e stiamo lavorando con il massimo impegno per dare supporto a tutti gli enti coinvolti. Non si può non affrontare il problema: come sanno bene regioni e parchi, le specie invasive causano anche gravi problemi alla salute e alle attività economiche dell’uomo. Uno studio realizzato anche da ricercatori dell’Ispra ha infatti stimato un costo, per l’Europa, superiore ai 12 miliardi di euro l’anno”.

Ancora una volta – come riferisce Legambiente – “è stato l’uomo il responsabile della sua diffusione”: la corretta informazione in merito ai rischi legati all’introduzione di specie non autoctone rappresenta, comprensibilmente, il cardine di vari progetti europei dedicati, tra cui il Life Asap (Alien Species Awareness Program), coordinato da Ispra, in collaborazione con Legambiente, Federparchi, Regione Lazio, Università di Cagliari, Nemo srl , Tic Media Art e con il cofinanziamento del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei Parchi nazionali dell’Arcipelago Toscano, dell’Aspromonte, dell’Appennino Lucano e Gran Paradiso.

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