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30 Marzo 2018
Al Museo Civico di Sansepolcro mostra aperta fino al 6 gennaio 2019

Piero della Francesca. La seduzione della prospettiva

di Paola Forlani | 4 min

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In concomitanza con la presentazione dei restauri della Resurrezione di Piero della Francesca presso il Museo Civico di Sansepolcro, si è aperta fino al 6 gennaio 2019, la mostra Piero della Francesca. La seduzione della prospettiva. L’esposizione, curata da Filippo Camerota e Francesco P. Di Teodoro (catalogo Marsilio), e promossa dal Comune di Sansepolcro, è un progetto del Museo Galileo con la collaborazione della Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia ed organizzata da Opera Laboratori Fiorentini.

Il progetto espositivo, che si articola intorno al De prospectiva pingendi, trattato composto da Piero della Francesca intorno al 1475, ha anche l’obiettivo di illustrare, attraverso riproduzioni di disegni, modelli prospettici, strumenti scientifici, plaquette e video, le ricerche matematiche applicate alla pittura di Piero della Francesca e la conseguente eredità lasciata ad artisti come Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer, Daniele Barbaro e ai teorici della prospettiva almeno fino alla metà del Cinquecento.

La mostra mira, inoltre, a mostrare al pubblico le due anime di Piero della Francesca: raffinato pittore e grande matematico. Oltre ad essere Maestro d’abaco, geometra euclideo, studioso di Archimede, Piero è stato anche un innovatore nel campo della pittura poiché per lui, quest’ultima, nella matematica e nella geometria, trovava il suo sostanziale fondamento. I suoi scritti, infine, soprattutto il De prospectiva pingendi, composto in volgare per gli artisti e in latino per gli umanisti, hanno dato inizio alla grande esperienza della prospettiva rinascimentale.

La Mostra è suddivisa in otto sezioni che approfondiscono gli studi affrontati da Piero nel corso della sua vita.

La definizione di “prospettiva come forma simbolica” enunciata da Erwin Panofsky trova in Piero della Francesca il suo più rigoroso interprete e assertore, nella consapevole assunzione di una disciplina per la quale, come scriveva Briganti, “Piero rapportava alla misura della forma ogni sentimento profondo, in una concezione spaziale puramente contemplativa: era una delle proprietà più alte del suo stile…”.

Il paradigma assoluto di questo uso espressivo e spirituale della prospettiva si ha nella Flagellazione. Nello schema sono messe in evidenza la costruzione geometrica dello spazio con la prospettiva convergente in un punto di fuga sull’asse centrale, tra i due gruppi i due cerchi su cui poggiano i piedi dei personaggi in primo piano e quelli dei carnefici attorno alla colonna. In particolare è evidenziato il percorso ideale dell’osservatore che girando attorno alle tre figure in primo piano si trova “dentro” il quadro e attratto dalla prospettiva è coinvolto nel vortice dei flagellatori di Cristo. La “restituzione prospettica” del pavimento consente di ricostruire il disegno geometrico, particolarmente ricco e significativo, sotto il porticato, attorno al cerchio della colonna. La perfetta geometria del disegno conferma la scientificità della costruzione prospettica di Piero secondo le regole dettate da Leon Battista Alberti e codificate da Piero nella sua Prospectiva pingendi.

Nelle opere di Piero della Francesca, si nota come i personaggi siano spesso disposti in cerchio. Proprio per dare non solo l’illusione di uno spazio completo, di un ambiente in cui i personaggi vivono e si muovono, ma la sensazione precisa e “reale” di uno spazio tridimensionale, di un’atmosfera che avvolga quelle figure che esistono nella loro tridimensionalità.

Questa ricerca la ritroviamo anche nella Resurrezione di Cristo. Qui, i quattro soldati ai piedi della tomba di Gesù sono disposti secondo un cerchio; pur rappresentandoli come sospesi nei loro vari atteggiamenti, Piero non rinuncia a disporli in modo tale da suggerirci, magistralmente il senso della completezza dei volumi dei loro corpi, mostrandoceli nell’ordine, da sinistra, di profilo dal lato destro (con la testa fra le mani), di fronte (il capo appoggiato alla cornice della tomba, e nella figura del soldato si vuole conoscere l’autoritratto del maestro), di profilo dal lato sinistro, infine di schiena (l’ultimo, come il primo, pare colpito dalla visione). Al di là, poi, di questo cerchio terreno, che ha una propria prospettiva, si erge il Cristo risorto, visto e disegnato secondo un altro punto di vista, con un’altra prospettiva. E la figura di Gesù ha il peso e il valore plastico di una scultura resa in tutta la sua potenza e la sua importanza dalla posa (il ginocchio alzato e il piede poggiato sul bordo), dal ricco panneggio (ombre e riflessi colorati), al volto, visto di fronte, lo sguardo severo rivolto all’osservatore. Poche volte come in questo dipinto, l’evento diventa sacro e riesce ad annullare tempo e luogo, mentre i personaggi si muovono come in una luce irreale, incastonati nel paesaggio che li circonda e li avvolge.

Con gli affreschi di Arezzo e la Pala di Brera, essa appare una delle tappe per le quali direttamente si ritrovano le tracce di Antonello e di Giovanni Bellini: la Pala di Pesaro del Bellini: la Pala di san Cassiano di Antonello (1475) recano entrambe i segni inequivocabili di quella “folgorazione sulla via di Arezzo” della quale parlava Roberto Longhi. E non basta: i semi di Piero portano frutti ben più oltre, e dal cuore stesso di Urbino nutrono il vero erede del maestro di Borgo Sansepolcro. Direttamente tramite il Perugino, Raffaello assorbe da Piero la classica dignità della figurazione, la composta serenità del colore, la saldezza indefettibile della costruzione spaziale.

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