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5 Gennaio 2018
Mostra presso la Galleria dell’Accademia di Firenze fino al 18 marzo

Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento

di Paola Forlani | 5 min

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Presso la Galleria dell’Accademia di Firenze, fino al 18 marzo 2018, si può ammirare la mostra Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura. L’esposizione ideata e curata dalla direttrice Cecile Hollberg (catalogo Giunti), si concentra sull’importanza dell’arte tessile a Firenze nel Trecento, dal punto di vista economico, nel campo della produzione artistica e nei costumi della società del tempo.

Ѐ proprio nel Trecento, che inizia a svilupparsi un nuovo fenomeno legato al lusso: la moda. La qualità della lana ed in seguito della seta dei prodotti fiorentini raggiunse, nonostante i costi molto alti delle materie prime e dei coloranti, un livello di eccellenza, tale da imporsi in Europa, a dispetto delle guerre, delle frequenti epidemie, nonché delle crisi finanziarie e dei conflitti sociali. Lussuose stoffe erano richieste ovunque, dal Medio Oriente all’Asia, dalla Spagna alla corte del sacro romano impero di Praga, dalla Sicilia fino al mar Baltico. Si trattava, insomma, di un fenomeno di straordinaria diffusione geografica e di prestigio senza eguali, nonché di un enorme fonte di ricchezza.

La lavorazione dei tessuti diviene ben presto la base dell’enorme ricchezza della città, che consentiva investimenti d’importanza cruciale non solo nello stesso settore, ma anche nei beni di lusso e nel campo dell’architettura e della produzione artistica. Le grandi corporazioni del settore, della Lana e della Seta, l’Arte di Calimala e di Por Santa Maria, oltre ad essere strutture portanti dell’economia divengono autentici detentori del potere politico e, allo stesso tempo, straordinari committenti d’arte.

Gli artigiani e i pittori, in particolare, trovarono ampia ispirazione dalle stoffe e dalla moda del tempo, tanto da “trasferire” le lussuose trame dei tessuti nelle tavole e negli affreschi custoditi in città così come è possibile riscontrarli ed ammirarli nelle opere tessute e dipinte visibili nell’esposizione.

Il percorso espositivo della mostra è cronologico e approfondisce lo sviluppo e la provenienza dei manufatti. La prima sezione illustra le cosiddette Geometrie mediterranee che rimandano al mondo mussulmano. Qui si può ammirare la Croce dipinta (Galleria dell’Accademia), di cui la notevole qualità esecutiva dell’opera è ora apprezzabile al meglio dopo il restauro eseguito in occasione della presente mostra.

L’ autore, artista fiorentino, ha voluto impreziosire il tabellone della croce con un motivo decorativo derivato verosimilmente da un tessuto di fonte islamica.

 La seconda sezione presenta il Lusso dell’Asia mongola con i piccoli motivi vegetali e animali.

Qui la tavola della Madonna dell’Umiltà con il Padre Eterno, la colomba dello Spirito santo di Silvestro dei Gherarducci, esprime tutta la ricchezza dei tessuti nelle bacheche che accompagnano l’opera nel suggestivo percorso. L’artista ha messo a punto un linguaggio assai personale fondato su di una sintesi tra la cultura dei miniatori e pittori senesi del terzo quarto del secolo, come si evince soprattutto dall’elaborato trattamento decorativo dell’oro nella veste della Madonna e del Bambino.

Seguono le Creature alate degli ornamenti tessili di influenza cinese. Nella tavola di San Martino in trono fra due angeli di Lorenzo Bicci, la sontuosa cortina alle spalle del santo reca un motivo assai replicato nei tessuti raffigurati nei dipinti, quello della mitica fenice. L’uccello fantastico è interpretato qui in senso cristiano, quale simbolo della sapienza divina e della resurrezione di Cristo. Mentre le Invenzioni pittoriche, della sezione seguente, evocano con fantasia i disegni delle sete pregiate lavorate da tessitori altamente qualificati. Qui spicca il Frammento di tessuto con motivo a rosette (Prato, Museo del Tessuto) che è composto da un giro esterno di diciannove piccole foglie dal profilo dentellato che include una corolla a doppio profilo attraversata da un’iscrizione disposta in modo speculare. Si tratta di una pseudoiscrizione in corsivo arabo di stile mamelucco in cui è riconoscibile il ductus delle parole “al mulk” che nella formula completa corrisponde ad “al mulk lillah”, “tutte le cose appartengono a Dio”. Nella sezione Le vesti di seta, si ricorda, con immagini, come nell’affresco del Buongoverno nel Palazzo Pubblico di Siena Ambrogio Lorenzetti illustra con chiarezza quale industria porta e porterà in futuro benessere alla città: quella della seta. Le vesti delle fanciulle che danzano sono aeree e fluttuanti; i loro decori bruchi e farfalle.

In questa sezione spicca il Pourpoint di Charles de Blois, la tradizione vuole che questo indumento di seta e oro fosse stato indossato dal conte di Blois, durante la guerra dei Cento anni, ma il condottiero fu ucciso nella battaglia di Auray da Jean de Monfort. Egli morì in fama di santità e le sue vesti furono conservate come reliquie in Notre-Dame-des-Carnes ad Angers.

La sezione dedicata al Lusso proibito prende spunto dal registro che dal 1343 al 1345 annovera le vesti proibite elencate nella cosiddetta Prammatica delle vesti.

Ma la Prammatica ci rivela una disponibilità di beni suntuari – oltre seimila capi d’abbigliamento – al di là di ogni nostra aspettativa. Negli abiti era il rosso, in tutte le sue sfumature, il colore preferito e notoriamente il più costoso. Oltre alle decorazioni di un ricco repertorio botanico e animale, le righe, i quadri e gli scacchi, in abbinamento a tinte squillanti, godevano del massimo favore, soprattutto per le fodere in vista. Concludono l’esposizione i Velluti di seta che anticipano gli sviluppi della moda nel secolo successivo.

Tra le opere più rappresentative presenti in mostra è un grazioso vestitino in lana prestato dal National Museum di Copenhagen, confezionato sulla metà del XIV secolo per una bimba e recuperato dagli archeologi in Groenlandia.

Così appare, nella sua semplice bellezza, la Madonna col Bambino in trono e due angeli (1290 circa) del Maestro della Maddalena e pittore fiorentino della fine del Duecento (Firenze, chiesa di San Remigio). Si tratta di uno degli esemplari più alti della “maniera greca” a Firenze, secondo la fortunatissima espressione introdotta da Giorgio Vasari. La bellissima crisografia del manto della Madonna, di gusto squisitamente bizantino, convive con i panneggi scheggiati del Bambino che prelude a Giotto.

Chiude il percorso espositivo il sontuoso piviale del Museo Nazionale del Bargello, che documenta la sfarzosità raggiunta da Firenze nel corso del Quattrocento, nel campo della seta e dei velluti.

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